Farmaco Epatite C a prezzo super-gonfiato. Seri dubbi sulla reale efficacia. I retroscena
Farmaco Epatite C. Negli scorsi mesi hanno fatto più notizia per il loro prezzo che per la reale efficacia. Stiamo parlando dei “super-farmaci” per la cura dell’epatite C, una malattia che nel nostro Paese colpisce -pur non essendoci dati ufficiali- più di 800 mila persone. Ora la Procura di Torino ha aperto un fascicolo per omicidio colposo e omissione di cure in relazione alle problematiche di sofosbuvir, e ai suoi costi per il sistema sanitario pubblico pari a 40 mila euro a paziente , che però viene posto in terapia solo nei casi terminali, quando il rischio di morte è elevatissimo. Per quest’anno la Lorenzin ha stanziato per la cura 500 milioni, quando per curare solo la metà dei malati servirebbero 16 miliardi di euro. Il Sofosbuvir è nato nei laboratori della Emory University, Atlanta, USA. Quattro ricercatori della Emory hanno fondato nel 1998 una società, Pharmasset Inc, con lo scopo di arrivare a commercializzare il nuovo farmaco. Gli studi preclinici sono cominciati nel 2008 e sono durati fino alla vendita della società a Gilead. I costi di sviluppo del sofosbuvir dichiarati da Pharmasset sono stati di $ 62 milioni fra il 2008 ed il 2011, inclusi, precisa puntigliosamente il rapporto, un grant federale di $ 244.000 (spicci). In quegli anni diverse aziende farmaceutiche stavano conducendo ricerche per trovare farmaci antivirali che permettessero l’abbandono di interferone e ribavirina. Era in atto una corsa per arrivare primi ed acquisire una posizione preminente nel mercato. Tutti sapevano come la molecola più promettente fosse il sofosbuvir. Infatti Pharmasset ricevette diverse offerte di acquisizione unsolicited. Gilead si trovava in cattive acque in questa competizione. I suoi programmi prevedevano di portare sul mercato una qualche molecola nel 2020, ma i suoi manager erano coscienti che Pharmasset sarebbe arrivata molto prima. Pertanto decisero anche loro di provare a comprare Pharmasset. Diedero vita dunque al Project Harry, da Harry Potter, dove Pharmasset era Harry, e Gilead era Gryffindor. Gilead il 12 giugno 2012 acquista Pharmasset, pagandola una fortuna: 11,2 miliardi di dollari! Le reazioni del mercato azionario sono negative e le sue azioni vanno giù. Un analista valuta che per giustificare tale prezzo, Gilead avrebbe dovuto vendere almeno 4 miliardi di dollari di Sofosbuvir l’anno! Il management di Gilead è cosciente dei rischi di un’acquisizione a questo prezzo, ma le informazioni sul farmaco fornite da Pharmasset e le analisi di mercato dei consulenti fanno loro decidere che è un rischio ragionevole. Le azioni di Pharmasset sono state pagate $137 l’una, $37 più dell’offerta iniziale, e con un ricarico del 59% sul miglior prezzo mai spuntato prima dalle azioni di Pharmasset in borsa. Il rapporto ricostruisce quanto sia costato a Gilead portare il sofosbuvir alla licenza FDA. In realtà Gilead non ha fornito al Senato il costo di R&D del sofosbuvir come singola molecola despite repeated requests to do so, ma solo il costo aggregato che includeva quanto investito per portare alla licenza anche tre altri composti associati (sofosbuvir + altre molecole), cioè una sovrastima.
Dal 2012 al 2014 Gilead dichiara $880 milioni di investimento, da sommare ai $60 milioni dichiarati da Gilead. Dichiara poi che sarebbero stati necessari altri studi post marketing, i cui costi però non sono stati forniti al Senato. Il rapporto riporta by comparison il piano di investimenti presentato da Pharmasset durante i negoziati per l’acquisizione. Si tratta di cifre molto più modeste: $125 milioni nel 2012 e fra $50 e $70 milioni nel 2011. Questi costi sono essenzialmente quello degli studi clinici pianificati per arrivare alla licenza. Gilead invece dichiara che per gli studi clinici avrebbe speso $610 milioni (per sofosbuvir più le tre associazioni). Fda teme il rischio che alcuni antivirali ad azione diretta usati per i trattamento dell’epatite C riattivino il virus dell’Hbv nei pazienti che l’hanno avuta. Per questo motivo l’ente regolatore americano ha richiesto alle aziende produttrici di questi farmaci il cosiddetto black-box warning, ossia le avvertenze di possibili rischi per la salute che sono indicate sulla confezione dei medicinali. Nove quelli sotto accusa, pubblicati in un documento sul sito dell’agenzia: Daklinza (daclatasvir) di Bristol-Myers Squibb, Epclusa (sofosbuvir e velpatasvir), Harvoni (ledipasvir e sofosbuvir) e Sovaldi (sofosbuvir) di Gilead Sciences, Olysio (simeprevir) di Janssen, Technivie (ombitasvir, paritaprevir e ritonavir), Viekira Pak (dasabuvir, ombitasvir, paritaprevir e ritonavir), Viekira Pak XR (dasabuvir, ombitasvir, paritaprevir e ritonavir) di Abbvie e Zepatier (elbasvir e grazoprevir) di Merck Sharp Dohme. L’agenzia ha dichiarato che si sono presentati seri problemi al fegato e in alcuni casi anche la morte. Le medicine hanno un range di costo molto alto, tra i 54 e i 94 mila dollari per un trattamento di dodici settimane. L’Fda ha identificato ventiquattro casi di riacutizzazione dell’epatite B tra il 22 novembre 2013 al 18 luglio 2016. L’indagine ha rivelato anche la morte di due pazienti e la necessità, per un terzo, di un trapianto di fegato. Stando sempre a quanto dichiara l’agenzia, la riattivazione della malattia non era stata riportata come evento avverso alla presentazione dei dati sui test clinici in fase di approvazione dei farmaci, perché i risultati sui pazienti malati di epatite B non erano stati inclusi.