La confessione che svela chi ha ferito a morte Alitalia. Dai sindacati e Fs il colpo di grazia
La confessione. Ormai sono anni, dai tempi dell’Iri, dei Presidenti ed Ad sapientoni, seduti su quegli scranni, a gozzovigliare, a suon di stipendi, milionari, e la storia non è mutata. Neanche l’armata Brancaleone messa su da Berlusconi, per cercare di far si che la Compagnia restasse italica, vi riuscì. Ed ora, siamo alle solite lacrime e sangue, soprattutto dei dipendenti, che sono oltre 12.000, di cui circa la metà a terra. Un quesito sorge spontaneo; come fa l’Alitalia a volare con metà del personale a terrà? Ma occorre transitare le forche caudine dei soliti, i sindacati, sì, cercano di fare il loro lavoro, solo che i tempi sono mutati, è roba vecchia. Poi salvare un’azienda a qualsiasi costo è sempre un’azione controproducente. Nei casi conclamati meglio il fallimento che l’accanimento terapeutico. Con Alitalia bisognerebbe procedere così. È irrazionale tenere in vita una realtà che perde un milione di euro al giorno. Con le casse perennemente vuote. Veniva annunciato un ritorno all’utile nel 2017! Adesso c’è l’ingresso al vertice di Luigi Gubitosi, professionista certamente capace. Ma oggi non è più questione di management. Alitalia è un’azienda vecchia e decotta. Con flotte superate. Bocciata dal mercato. Insomma, di Alitalia si può fare a meno. Invece la storia racconta di continui tentativi e operazioni di salvataggio secondo l’irrealistico e colpevole adagio che non si può disperdere il valore di un marchio.
Ma di quale marchio stiamo parlando? I brand sono tali quando esprimono storie di successo, fanno tendenza, generano consenso e spirito di emulazione. Virtù estranee all’ormai ex compagnia di bandiera. Ora siamo al punto che di nuovo si domanda un sostegno agli istituti di credito. Cosa pensano davvero i soci Intesa Sanpaolo e Unicredit? Per un’Alitalia tecnicamente fallita? L’ennesimo decollo pericoloso. L’ennesima ristrutturazione che, se tutto andrà male come è facile prevedere, pagheremo tutti noi gli errori di pochi. Ancora una volta! Per cui è meglio diffidare del piano di rilancio sbandierato ai quattro venti. E appare che neanche il socio forte di Abu Dhabi gli emiri di Ethiad hanno il 49% – sia particolarmente felice delle solite mosse all’italiana: teme che il nuovo piano industriale non sia solido. I conti non tornano. Meglio chiudere. Tanto i passeggeri hanno già detto come la pensano. Mentre, chi di dovere, si preoccupi e in fretta di gestire nel modo più indolore possibile e razionale la riqualificazione, il ricollocamento e il prepensionamento del personale.
Una lettera-fiume scritta da un dipendente di Alitalia racconta gli ultimi due anni dell’ex compagnia di bandiera con due amministratori delegati al timone: Silvano Cassano e l’attuale Ceo Cramer Ball. Una compagnia che continua a perdere oltre un milione di euro al giorno, nonostante nel 2014 fosse stata risanata e avesse finalmente trovato un nuovo azionista industriale: l’emiratina Etihad che per entrare al 49% della compagnia aerea ha investito 500 milioni di euro. Racconta la frustrazione del personale, definito iper-pletorico (la compagnia ha oltre 12mila addetti, di cui poco meno della metà a terra e negli uffici). In passato accusato di aver vissuto molto al di sopra delle proprie possibilità, eppure fortemente ridotto già nel 2008 con il passaggio dell’azienda ai “capitani coraggiosi” guidati da Roberto Colaninno con la regia di Intesa Sanpaolo (guidata allora da Corrado Passera) e la sponda governativa dell’allora premier Silvio Berlusconi. Quell’operazione di salvataggio, necessaria per evitare che la compagnia portasse i libri in tribunale, costò oltre tre miliardi di euro ai contribuenti. Consentì l’ingresso dei francesi di Air France con una quota di minoranza. Soprattutto impedì a Lufthansa, che stava trattando con il governo Prodi (poi caduto a gennaio di quell’anno) per la vicenda Mastella, di entrare nell’azionariato. Si disse allora che i tedeschi, molto interessati, fecero un passo indietro perché l’azienda era troppo sindacalizzata. Ma l’attacco è soprattutto nei confronti del management per alcune tare storiche, come i contratti di leasing per gli aerei che costano oltre il 10% in più rispetto alla concorrenza.
E che ora Ball, con la consulenza dell’advisor Roland Berger, sta cercando di ridurre per circa 50 milioni di euro. Alcuni passaggi sono iracondi: «Dopo 2 anni scoprono — riporta la lettera — che siamo vincolati ad alleanze con Air France-Klm e Delta che ci limitano nella crescita intercontinentale. Altri mettono in discussione le strategie industriali. Le stesse, a ben vedere, oggetto della revisione allo studio di Ball, bloccato per alcuni contratti firmati anni relativi alla joint-venture transatlantica con Air France-Klm e Delta che impedisce di avere alcune destinazioni ritenute remunerative per gli Stati Uniti: «Fu presentato un piano di sviluppo intercontinentale sapendo che non decidevamo noi il network di lungo raggio. Abbiamo aperto Seoul, Città del Messico, Santiago del Cile, Pechino e l’Avana e per contro chiuso Osaka, Lagos, Accra. la Rio de Janeiro verrà ridotta a tre settimanali. Quindi lo sviluppo dove è?». La compagnia aerea, interrogata, fa sapere che ci sono vincoli stringenti derivanti dalla joint-venture transatlantica ora oggetto di negoziazione. Con l’apertura della Mexico City la compagnia fa sapere di aver dovuto sacrificare altri voli chiudendo la Toronto per tutta la stagione invernale (anziché solo a gennaio e a febbraio come negli anni passati). E la Boston chiusa per 2 mesi (dal 10 gennaio al 13 marzo) anziché 1 mese e mezzo come nelle passate stagioni.
Sotto accusa anche il mancato accordo con le Ferrovie dello Stato, che ogni tanto spunta nelle indiscrezioni, come possibile nuovo socio della compagnia. «Continuiamo a perdere milioni operando voli come Napoli-Roma, Firenze-Roma, Bologna-Roma che non vendono un singolo biglietto che non sia legato al feederaggio. Decine di Milano-Roma viaggiano vuote — riporta la lettera —. Lo Stato fa fare alle low cost quello che vogliono. E i lavoratori? Tutti a lavorare ed in questo scenario sono gli unici senza colpe. Eppure sono loro a dover pagare!». E poi le spese, alcune definite come superflue, «come l’affitto dell’auditorium parco della Musica di Roma e la Triennale di Milano per presentare in pompa magna la nuova divisa costata qualcosa come 20 milioni». Il restyling della livrea «che è stata cambiata appena quattro anni fa. Non ti inventi un servizio che pare costi un patrimonio importando da Abu Dhabi le vaschette di alluminio monoporzione — arringa il dipendente —. Non immetti ad aprile 2016 un aereo 777-200 vecchio come il cucco tenendolo fermo 10 mesi pagandone il leasing e depredandolo di motori e pezzi per sopperire ai danni di altri velivoli». Fonti della compagnia fanno sapere che le vaschette di alluminio arrivano da Abu Dhabi perché sono uno degli acquisti congiunti (joint procurement) fatti in ambito EAP partners che nel 2016 hanno portato a oltre 100 milioni di euro di risparmi. Per il nuovo 777 Alitalia fa sapere di averlo preso da un lessor ad aprile 2016. Prima di farlo volare è stato mandato ad Abu Dhabi per riconfigurarlo internamente (allestimento poltrone, monitor Panasonic, antenna satellitare).
Mentre era fermo ad Abu Dhabi sono stati i suoi 2 motori per sopperire alle esigenze di manutenzione degli altri 777, evitando di accendere altri contratti leasing per motori. E ancora il restyling degli interni degli aerei, cominciati con i 330 e i 320. Che s’incarta con l’arrivo dei 777,con interni vecchi ed intrattenimento obsoleto. «Quelle vecchie poltrone vengono rivestite tutte pur sapendo che andavano sostituite. A giugno rientra l’ultimo 777 rifoderato. — scrive il dipendente — 239 sedili di economica più 24 di prima classe fanno 263 sedili ad aereo. Per 10 fa 2630 poltrone. A novembre i 777 rientrano in hangar per fare mettere i nuovi sistemi di intrattenimento e sorpresone ancor più grande, appena a dicembre quando rientra in flotta, si scopre che tutte le poltrone sono state sostituite e che quindi 2630 fodere nuove finiranno dopo appena 5 mesi nell’immondizia». La compagnia fa sapere che bisognava cambiare anche l’obsoleto sistema di intrattenimento di bordo ma ciò comportava tempi ben più lunghi rispetto alla sostituzione delle fodere, così il management ha optato per le nuove fodere che hanno consentito in breve tempo di rendere gli interni omogenei su tutta la flotta in attesa di “ricablare” o sostituire le poltrone dei 777. Polemiche infinite, proprio oggi in cui c’è l’ennesimo tavolo tecnico per decidere come ridurre i costi operativi, che ammontano tre miliardi di euro all’anno. Meno di un quinto è il costo del lavoro. Circa 600 milioni.