Verdini, Dell’Utri, Berlusconi, Renzi, Massoneria: intrigo sul dissesto MPS-Etruria
Verdini&Co. Nelle stanze del potere di alcune banche toscane vicine al ‘giglio magico’ di Matteo Renzi, viene a galla ciò che Ferruccio De Bortoli aveva già scritto sul Corriere, prima di essere sostituito come direttore. Facciamo un inciso. L’istituto senese è arrivato a cedere più del 13% a fine Novembre scorso, giorni in cui sono partite le manovre per il salvataggio dell’istituto. Monte dei Paschi di Siena è crollata a Piazza Affari fin dall’avvio delle contrattazioni, trascinando al ribasso anche tutti gli altri titoli bancari. Un andamento che ha affondato la Borsa di Milano, maglia nera d’Europa. L’odore di massoneria che aleggia nelle stanze del potere renziano, lo avvertì per primo Ferruccio De Bortoli, infatti silurato, e successivamente, anche l’ex Presidente di Mps, Profumo(anch’egli caduto in disgrazia), secondo il quale a procurare il dissesto più della politica sarebbe stata la massoneria. Lo disse in pubblico nel Giugno 2016, ma nessun giornale ne diede notizia. “Gli amici con il grembiulino” rivelò, hanno spolpato Mps. I dirigenti hanno aiutato gli amici degli amici, e dentro la banca si faceva carriera per affiliazione”. Risultato, sotto gli occhi di tutti, Mps venne travolta da uno tsunami finanziario, e adesso continua a precipitare in Borsa. E a pensare che Matteo Renzi il 26 Gennaio 2016 invitò gli italiani a comprare azioni di questa banca. Davvero un ottimo consiglio! Ma c’è altro, il caso di un’altra banca molto cara a Renzi, Banca Etruria. Nell’Estate del 2014, l’allora Presidente Lorenzo Rosi ed il vice presidente Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, che in quel periodo era già ministro, parteciparono in un ufficio di Roma, ad alcune riunioni il cui obiettivo era individuare l’uomo giusto da piazzare sulla poltrona di direttore generale dell’istituto. Chiesero lumi ad un gruppo di massoni. Si rivolsero a Flavio Carboni, uno che fu molto amico di Licio Gelli, e il cui nome compare nelle liste della Loggia P3, assieme a Marcello Dell’Utri, e Denis Verdini. A mettere in contatto Pier Luigi Boschi e Flavio Carboni, un uomo di nome Valeriano Mureddu, anch’egli iscritto ad una Loggia massonica. Quarantaseienne imprenditore tosco-sardo, cresciuto come il presidente del Consiglio a Rignano sull’Arno. Su di lui si sa poco se non nulla. Se non che in una stanza del suo capannone industriale, insieme con i suoi amici e collaboratori, preparava, forse, dossier. Per questo è accusato di aver messo in piedi una specie di associazione segreta, un servizio segreto parallelo. E quando gli investigatori, nel marzo del 2014, gli sequestrarono documenti scottanti avvertì: «Non toccateli, è meglio per voi». Questo 007 senza tesserino non è però un millantatore qualunque. Conosce bene, o forse benissimo il premier, ma soprattutto Tiziano Renzi, e PierLuigi Boschi.
A suggerire i nomi dei manager da sistemare alla direzione di Etruria, invece, fu un altro imprenditore, Gianmario Ferramonti, anche lui grande amico di Licio Gelli. Il lupo “azzurro” il suo soprannome, colto metaforicamente con le dita nella marmellata per il “caso Stefio-Interdipco”. Tra gli aderenti all’“Esercito di Silvio” (movimento filo berlusconiano fondato dal giovane imprenditore veneto Simone Furlan), l’Interdipco, misteriosa “associazione umanitaria” legata al nome della Resurgit di Salvatore Stefio. Rapito da Al Qaeda nel 2004 in Iraq insieme a Fabrizio Quattrocchi (poi barbaramente ucciso) era stato al centro di voci che parlavano di “contractor assoldati illegalmente a difesa di interessi americani”. Ancora marmellata. Gianmario Ferramonti, imprenditore classe 1953, una storia personale, la sua, che sa molto di gattopardismo alla Tomasi di Lampedusa. A partire dalla discesa in politica al fianco della causa leghista nel lontano 1990, anno in cui assume la carica di Amministratore della finanziaria leghista Pontidafin. Nome noto anche questo, quanto meno per le vicende giudiziarie targate Francesco Belsito. La fedeltà alla bandiera verde della Padania resiste sino al 1994, quando Ferramonti dopo aver partecipato attivamente alla creazione di Alleanza Nazionale e alla nascita di Forza Italia sceglie Gianfranco Miglio e il suo Partito Federalista. Tra l’area di centro-destra e la balena bianca democristiana, lo ritroviamo qualche anno dopo, quando arriva la bufera “Phoney Money”, inchiesta della Procura di Aosta che travolge Ferramonti e altri 17 indagati. Per un mese si aprono le porte del carcere ma lui, indagato per una presunta truffa alle banche per quasi 20 miliardi di lire, viene alla fine pienamente scagionato. Il richiamo della politica torna a farsi sentire, e Ferramonti decide di saltare in groppa alla balena bianca. E’ il 2002 quando decide infatti di entrare nel gruppo dirigente della Democrazia Cristiana Libertas, da cui tuttavia si allontana nel 2005. Fine dell’impegno politico? Nient’affatto, dal 2009 torna a vestire la casacca azzurra, fondando prima “Squadra Italia”, poi “Il Popolo del Web”, e il “Partito delle Aziende”. Sino alla neonata creatura, quella “Squadra Nord” che sostiene, appunto, l’agguerrito “Esercito della Libertà” del cavalier Silvio Berlusconi. Un “giaguaro” che si accompagna, senza alcun imbarazzo, ad un gattopardo. E Renzi s’infuria pure, quando sente nominare la massoneria!