Antinucleare conquista sociale emotiva?
Non crede ormai più nessuno oltre le frontiere nazionali, alle motivazioni dei benpensanti di casa nostra che hanno fatto della questione antinucleare il loro credo ideologico per opporsi alla costruzione di centrali elettriche a fissione. Il sopravvento sull’opinione pubblica che l’onda emotiva del disastroso maremoto di Fukushima ha ottenuto in Italia è stato soprattutto quello dei soliti catastrofisti appoggiati dalle lobby del petrolio, che hanno consolidato con le loro motivazioni l’endemica carenza energetica il consequenziale progressivo arretramento industriale del nostro Paese, malgrado i nostri ingegnosi espedienti. Questo arretramento è purtroppo riscontrabile rispetto alle altre nazioni del mondo per la loro disponibilità di energia elettrica a sufficienza e a più basso costo. L’Italia perde infatti competizione nella produzione di beni destinati ai mercati mondiali; situazione questa di tale evidenza per tutti che non è il caso di esemplificare indicando gli Stati appartenenti a tale eloquente elenco
L’orientamento mondiale
Malgrado ogni possibile propaganda contraria, sorgono ormai un po’ in tutte le parti del mondo centrali elettriche ad energia nucleare. La leadership del nostro Paese aperta a tutte le genti e a tutte le loro idee, è divenuta quella di schierarsi invece, senza mezzi termini, contro i nostri stessi cittadini che solo accennano a questa malsana possibilità in Italia. Meglio dunque mantenerci adesso la poca energia che disponiamo, anche a costo di rimanere fuori mercato dall’iniziata ripresa industriale europea, che ricorrere alla produzione di energia nucleare in proprio. Magari seguiteremo a comprarla in Francia dalle sei centrali nucleari che alla frontiera producono energia elettrica per il nostro Paese (che male c’è? Affari loro se sono così temerari); mai però costruire in Italia qualcosa del genere. Questa assicurazione ci viene offerta per il nostro bene, a garanzia dell’eventuale pericolo di inquinamento per l’ambiente circostante alle stesse centrali.
Scarsa lungimiranza o ipocrisia
Per quanto riguarda invece il fall-out, ovvero, la ricaduta delle particelle radioattive che si librano nell’area in caso di immissione accidentale, queste non contano. Non contano se si disperdono in altri luoghi, dove la salute di quelle popolazioni non sembra interessare alla campagna antinucleare dei nuovi profeti di sventura di casa nostra. “Lontano dagli occhi lontano dal cuore”, potrebbe essere lo slogan dell’”Esercito della Salvezza” del nostro Paese. Se però vi fosse un incidente nucleare (che non c’è) in quelle centrali francesi che lavorano per noi, vendendo all’Italia l’energia elettrica che non produce, i contestatori italiani dovrebbero guardare la posizione geografica delle centrali francesi (e non solo) per rendersi conto dove il consueto vento di maestrale porterebbe l’ eventuale fall-out. Non si può infatti, accettare il pensiero che ciò che accade ad una centrale nucleare che non è costruita sul nostro territorio, non costituisca un pericolo anche per noi. Possiamo però constatare per altra via, questo disinteresse dettato da motivi ideologici sul pericolo diretto nucleare, facendo riferimento a casi concreti veramente accaduti. Non c’è bisogno di ricordare gli eventi e le vicissitudini della nube radioattiva trasportata dalle correnti e poi ricaduta nei vari luoghi in cui la nostra memoria ancora ricorre.
Il costo/beneficio della situazione
La domanda che sorge spontanea è: “Ma allora per non correre un piccolo rischio in più, che potremo meglio controllare direttamente su centrali di casa nostra, vale effettivamente la pena fare ai nuclearisti vicini una sorta di questua di energia che ci è indispensabile, per pagare con l’ aggiunta dei relativi ricarichi economici, quanto questi ci concedono?” L’Italia però, per non cadere nella tentazione di adeguarsi alla politica energetica di tutti i Paesi della Terra che se lo possono permettere, preferisce subire magari gli effetti radioattivi altrui, approvvigionandosi a caro prezzo, come sta avvenendo anche per circa il 20% delle necessità nazionali, dalle centrali nucleari della Francia, come detto, nonché da quelle della Svizzera e dalla Slovenia. Oltre ai costi di tal genere che l’Italia sostiene per ragioni energetiche, vi sono quelli sommersi sotto l’illusione di essersi definitivamente liberati dal nucleare, in quanto le scorie delle centrali che avevamo nel passato e i resti delle necessità di terapia radioattiva utilizzata per i fini sanitari sono rimaste senza una seria politica nazionale di smaltimento, lasciate in modo molto costoso, negli stessi siti di stoccaggio “provvisorio a carattere permanente”; fatto questo da costituire rischio per la sottovalutazione dei danni, lenti ma inesorabili, che l’illusione della sicurezza, può causare.
L’Isola felice
Perché preoccuparci? D’altra parte qualche beneficio dovremo pur trarlo dal forse più ostinato antinuclearismo del mondo. Infatti, l’ideologia antinucleare che comporta la contrazione industriale e commerciale della nostra economia, realizza però anche un appiattimento indifferenziato dei vantaggi che avvicinano ora culturalmente lo stato sociale di gran parte dei componenti antinuclearisti ad oltranza con quello del resto dei cittadini più privilegiati che hanno finora potuto beneficiare della loro stessa differenza. Tutto questo sotto l’aspetto dell’avvicinamento di status nell’Isola Felice non è forse una conquista sociale?