Fassino indagato a Torino. Il Pd perde i pezzi da novanta

fassino1Fassino indagato. La procura di Torino ha aperto un’inchiesta sui 5 milioni spesi per dare una sistemazione ai nomadi e in parte finiti nelle tasche di un geometra, il «re della casbah» Al Comune di Torino mancano 5 milioni di euro. Lo avrebbero scoperto i pm della città che stanno indagando sui bilanci municipali dopo un esposto presentato dal consigliere Alberto Morano (il candidato sindaco sostenuto dalla Lega Nord nelle scorse elezioni). Per questo la procura della Corte dei Conti ha inviato la Guardia di Finanza negli uffici del Comune per acquisire tutta la documentazione utile ad accertare se c’è stato il reato di “falso in atto pubblico” nei bilanci del 2015 delle partecipate dei trasporti Gtt e Infra.To ipotizzato dal procuratore Ciro Santoriello. L’accusa si riferisce al periodo in cui era sindaco Piero Fassino (Pd). Proprio lo scorso giugno la giunta comunale guidata dal sindaco Chiara Appendino, aveva adottato una delibera per selezionare una società e affidarle il controllo sui rapporti, compresi quelli economici, tra l’ente e le partecipate abbandonò la politica nazionale per dedicarsi a tempo pieno alla sua città. Di certo c’è che a quattro anni dalla sua elezione a sindaco (passò in scioltezza al primo turno, con il 56% dei voti) si trova a fare i conti con una serie incalcolabile di rogne. Dove la più ingombrante è l’inchiesta della Procura sulla gestione dell’emergenza rom nel capoluogo piemontese. È un affare da cinque milioni. Non si sono raggiunte – va detto – le vette romane, quelle di Mafia capitale. Ma anche sotto la Mole a spartirsi con la benedizione di Fassino il business della solidarietà è stata una rete di associazioni a cavallo tra la sinistra e il mondo cattolico. E i risultati sono ora al centro dell’indagine in bella vista sul tavolo del sostituto procuratore Andrea Padalino, che dovrà capire come sia stato possibile che il Comune abbia speso una montagna di milioni per spostare dei nomadi da un insediamento abusivo a un altro: via dal Lungostura Lazio, e casa per tutti in corso Vigevano, in un cupo fabbricato che ha il piccolo difetto di non essere destinato a residenza.

A vincere la gara è il consorzio «La città possibile», di cui fanno parte le onlus Strana Idea, Animazione Valdotto e Terra del Fuoco, che si spartiscono l’affare. Per capire l’orbita: l’amministratore delegato di Terra del Fuoco è Massimiliano Curto, fratello minore di Michele Curto, capogruppo di Sel in consiglio comunale. Che l’emergenza rom diventi un affare di famiglia all’interno della maggioranza che sostiene Fassino è già abbastanza curioso. Ma i guai veri iniziano quando il consorzio inizia a occuparsi in concreto della sistemazione dei rom che accettano di lasciare l’accampamento di Lungostura, liberando fette di area su cui Fassino si precipita a lanciare le ruspe per evitare che vengano rioccupate. Una parte dei nomadi accetta di tornare in patria, dietro pagamento del biglietto e garanzia di un lavoro; una parte viene sistemata qua e là; e una parte approda in corso Vigevano, lunga e disadorna arteria che va verso Barriera di Milano. Al 41 di corso Vigevano c’è un lungo fabbricato industriale, che ospita un club privé e altre attività. E lì, incredibilmente, vengono piazzati una parte dei nomadi: ben il 41 per cento, secondo un esposto del capogruppo in consiglio comunale di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone. «Tra l’altro – scrive Marrone – la palazzina del social housing per zingari non risulta nemmeno accatastata come abitazione bensì come biblioteca ed edificio di culto, per cui dubitiamo che abbia l’agibilità abitativa». Da abusivi ad abusivi, insomma: ma stavolta a spese del Comune. E soprattutto, il consigliere Marrone fa presente che il fabbricone di corso Vigevano non è di un immobiliarista qualunque, ma di Giorgio Molino, quello che La Stampa chiamava «il re della casbah», «indagato – scrive l’esponente di Fdi – per abusi edilizi e già condannato per illeciti fiscali». L’esposto approda in Procura, dove finisce per connessione sul tavolo del pm Padalino.

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