Fiera Milano: tangenti “rosse” ad imprenditori di Cosa Nostra

fieramilano-headerFiera Milano. Voci correnti in Fiera su un presunto “meccanismo” di tangenti versate a “qualcuno” da “cooperative” di un “consorzio” in cambio di lavori da parte di Nolostand nel provvedimento con cui ieri la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale ha commissariato per sei mesi il settore relativo all’allestimento di stand di Fiera Milano spa in quanto avrebbe agevolato imprenditori ritenuti in odore di mafia e cioè Giuseppe Nastasi e Liborio Pace, titolare di fatto e ‘braccio operativo’ del Consorzio Dominus, arrestati in luglio in una indagine della Dda milanese. Nel decreto notificato ieri dalla Gdf viene citato un interrogatorio reso lo scorso 26 settembre come testimone ai pm da Mauro Giardini, ex fornitore di Fiera Milano e della controllata Nolostand spa, già in amministrazione giudiziaria dalla scorsa estate anche lei, in sostanza, per aver commissionato lavori al Consorzio di Nastasi e Pace consentendo a Cosa nostra di infiltrarsi nei gangli della società quotata in Borsa. «Tangenti in cambio di lavori»: scritto nero su bianco, è di brutale chiarezza l’ipotesi investigativa che dopo il commissariamento di Fiera Milano spa in tutti i rapporti con la controllata società degli allestimenti Nolostand, ha motivato le sei perquisizioni ad altrettanti funzionari o ex dipendenti o consulenti di Nolostand indagati per «associazione a delinquere» e «corruzione privata». Si intuisce che qualcosa scaturisce da interrogatori di Salvatore Nastasi, amministratore del Consorzio Dominus arrestato a luglio per frode fiscale con l’aggravante dell’agevolazione di Cosa Nostra: «Quando parlo di regali e di persone a cui devo dare — asserisce Nastasi rispetto ad alcune sue intercettazioni —, mi riferisco a Michele Restuccia, consulente Nolostand che ha un ufficio vero e proprio in Fiera. La moglie tedesca è titolare solo formale di due società. Restuccia, all’interno del contratto di appalto che avevo con Nolostand, sostanzialmente mi faceva assegnare dei lavori extra, e io per questa sua attività di favoritismo gli davo una percentuale sul lavoro concordata di volta in volta». Come? A detta di Nastasi, una società della moglie «faceva un lavoro per il consorzio, e l’importo della fattura veniva aumentato di una somma pari alla provvigione pattuita con Restuccia. Mi chiedete se questo palese conflitto di interessi (da una parte consulente Nolostand e dall’altra titolare di società che riceveva lavori da Nolostand), fosse conosciuto in Fiera: tutti sapevano che Restuccia era sostanzialmente il titolare di queste società».

Riferisce solo «voci correnti in Fiera» un ex fornitore di Nolostand con una società in liquidazione, Mauro Giardini: «Il consorzio acquisisce il lavoro, lo fa fare a una coop, che poi restituisce il 10% al titolare della coop, che poi paga qualcuno a titolo di tangente. Questo è il meccanismo» ora da verificare per il pool antimafia dei pm Boccassini-Ombra-Storari. Già nel 2014 (procuratore Bruti Liberati) era capitato al pool economia dell’attuale neoprocuratore Francesco Greco di ricevere la denuncia dell’ex a.d. di Fiera, Pazzali, circa l’accenno fatto da due manager Manutencoop sulla «esistenza di un accordo al fine di ottenere agevolmente un appalto in Fiera Milano» da 4,6 milioni l’anno con «la dazione di 500.000 euro da Manutencoop al presidente della Fondazione Fiera, Benito Benedini, attraverso la House Tech di Carlo Brigada», il quale era socio al 50% nella ITD srl, di cui Benedini era presidente e socio era suo figlio. Ma alla fine il pm Adriano Scudieri aveva chiesto l’archiviazione perché «non vi è prova che Benedini sapesse di tale “favore” concordato» tra il manager Manutencoop e Brigada, e restava «solo la circostanza oggettiva del legame sussistente tra Benedini, il suo nucleo familiare e l’indicato beneficiario della indebita dazione, Brigada». L’archiviazione era stata (seppure sotto un profilo diverso) accolta nel dicembre 2015 dal gip Natalia Imarisio, ad avviso della quale c’era stata «corruzione privata», ma l’assenza di querela della teorica parte offesa Manutencoop la rendeva improcedibile, mentre l’assenza di intercettazioni, e le «certamente false» versioni al pm di un manager Manutencoop, impedivano di sostenere in giudizio l’ipotesi di «induzione indebita».

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