Virginia Raggi bersaglio mobile. Velate minacce. Ecco chi vuole il suo cadavere
Virginia Raggi bersaglio mobile. Un’altra candidatura italiana alle Olimpiadi 2028 sarebbe irrealistica: o Roma2024 o niente. Lo dice il presidente del Coni, Giovanni Malagò in un’intervista al Mattino, dopo che il sindaco De Magistris ha proposto Napoli per le Olimpiadi. “Ho preso atto del suo tweet. Da un punto di vista formale tutte le candidature sono possibili, ma dobbiamo affrontare il discorso in maniera razionale“, sottolinea Malagò: “C’era stata un’idea per la candidatura ai Giochi del 2020, quelli che si disputeranno a Tokio, non avallata dal governo dell’epoca, e adesso c’è la candidatura per il 2024. Se non venisse colta questa straordinaria possibilità, sarebbe inutile perdere tempo con il CIO per il 2028 o il 2032. Insomma, sarebbe una bella suggestione ma non realizzabile. Per trenta o forse cinquant’anni”. Spiega così perché lo ritiene poco realistico: “Posso immaginare la riflessione dei componenti del Comitato olimpico internazionale sull’argomento Giochi in Italia. Abbiamo presentato una candidatura che aveva tutti i requisiti: il forte impegno del Coni, la delibera del consiglio comunale di Roma, il sostegno del governo e l’endorsement della presidenza della Repubblica. Poi è sufficiente il cambio di governo nella capitale per rimettere tutto in discussione. Ecco perché non sarebbe serio riproporre, a così breve distanza, una candidatura”. Queste le sibilline parole del “boss” del Coni dietro suggerimento del “prezzemolino” Luca Cordero di Montezemolo, altra istituzione mangiasoldi, ove la magistratura dovrebbe avere più coraggio a metter le mani, pardon la toga, che tuona da minaccia nemmeno tanto velata. Fatale, del resto, risulterebbe un avviso di garanzia diretto alla sindaca. Notizia che circola nei corridoi di palazzo ma che, al momento, non trova alcuna conferma. Il kille-raggi, il tentativo, praticato da molti media nazionali, di far fuori la sindaca Raggi sulla base di un processo virtuale, tutto di carta stampata. La strategia è quella di tirare in mezzo alla vicenda dei rifiuti romani, attraverso la sindaca, tutti vertici del Movimento Cinque stelle, passando per la vicenda del tritovagliatore di Rocca Cengia, un impianto oscuro nel ciclo dei rifiuti urbani di cui nemmeno i romani, fino a ieri, conoscevano l’esistenza. Questo gioco concentrico mediatico è una campagna che fa comodo a tutti, di certo ai giornali pigri, e soprattutto per quelli che cedono come il fumo negli occhi le posizioni del M5s su temi scottanti come stadio e Olimpiadi. Quegli stessi media che non ci hanno detto nulla delle vicende giudiziarie di Verdini, azionista di maggioranza del governo Renzi, quegli stessi che non sono andati a leggere tutte le “bugie” del documento di programmazione economica sul prodotto interno lordo (a sentire le promesse di un anno fa dovrebbe essere al 3.60% e non a crescita zero) quelli che magari pensano: se i Cinque stelle prendono una bella bastonata a Roma sarà più facile per Renzi vincere le elezioni. Peccato che in questo momento i sondaggi ci dicano che la popolarità dell’esecutivo sta andando a picco, peccato che per votare subito il premier si stia affannando a spostare in modo ridicolo i proclami guerreschi.
Detto questo, si trova incredibile che si processi la Muraro senza che ci sia ancora una sola carta giudiziaria probante su di lei, senza una intercettazione che dimostri il suo coinvolgimento, senza una prova. La Muraro non è nemmeno grillina, è una tecnica considerata una “problem solver”. Una tecnica da chiamare, cioè, come il mister Wolf di Pulp Fiction quando c’erano emergenze rifiuti. Agire così significa avere mani in pasta? Certo. Vuol dire avere relazioni, vuol dire scartare alternative e scommettere su soluzioni efficaci, a volte anche rischiose, nei meandri danteschi dei codicilli e dei regolamenti? Certo. La Muraro aveva rapporti con Manlio Cerroni, re delle discariche Romane, patron di Malagrotta. Mi pare verosimile. Ma nulla di tutto questo – fino a prova contraria – dimostra che sia colpevole di qualcosa. Però, finché non si trova prova di un illecito. Sì è dimessa. E cosa dire dei sedici assessori capitolini prima di lei, senza che la notizia uscisse dalle cronache romane. Facciamo un calcolo sul consenso al M5s, forse ci sbagliamo: non crediamo calerà, malgrado quello che potranno dire i sondaggisti. Non andrà in crisi perché non è stato rotto il patto fondante che si era stabilito fra il 67% dei romani e Virginia Raggi al momento del voto. Il movimento, non ha violato la promessa principale, quella dell’onestà nel governo della città. Io vedo i Grillini come i comunisti del 1956. Dopo l’invasione dell’Ungheria ci furono crisi di coscienza, traumi, alcuni prestigiosi intellettuali scrissero un saggio “Il Dio che è fallito” per spiegare che l’utopia era finita. Avevano ragione su molte cose, ma alle elezioni il Pci continuò a crescere perché non venivano meno le ragioni del suo consenso, perché la promessa ideale fondante di quel voto non era venuta meno. I Grillini sono stai pasticcioni, non disonesti. Stanno provando a risolvere i disastri ereditati, non hanno creato loro i problemi. Questo la gente lo sa, malgrado quello che scrivono il 99% dei media. E malgrado la terribile storia del tritovagliatore di Rocca Cencia. Tieni duro Virginia, difenditi dai falchi interni al Movimento, ce ne sono di sicuro, e dal mai sopito rigurgito Banda della Magliana. Noi siamo con te.