Lo Stato pagò i debiti di Babbo Renzi. Ecco come. Ora dalla fogna emerge altro liquame
Lo Stato, attraverso il Ministero dell’Economia, intervenne a saldare i debiti del padre di Renzi, Tiziano. La vicenda risale al 2013 ed è di nuovo alla luce, nei nuovi fatti accusatori a carico del giro di affari vorticosi del Tiziano, su cui la magistratura indaga, a tutto campo, e con la lente di ingrandimento. L’ultima che si apprende è che un generale dei carabinieri avvertì il papà di Renzi di non parlare più con Romeo. E tassello su tassello, come nella costruzione di un mosaico, i magistrati stanno ricostruendo fatti ed antefatti. Per cui dalla palude è riemerso anche quanto segue. A saldare i debiti del padre ci pensò il governo del figlio. Debiti tra l’altro, concessi da un fedelissimo di Renzi, già in società con il fratello del cognato, a sua volta socio in un’altra azienda di famiglia riconducibile alla madre. La vicenda è complessa e gli intrecci molti, come gli attori coinvolti. Tutto ruota attorno alla Chil Post, la società di Tiziano Renzi, dichiarata fallita nel marzo 2013 e sulla quale la Procura di Genova ha aperto un fascicolo iscrivendo nel registro degli indagati il padre dell’ex premier con l’accusa di bancarotta fraudolenta. Secondo i magistrati liguri, Tiziano avrebbe ceduto la parte sana dell’azienda alla Eventi 6 intestata alla moglie, Laura Bovoli, società che all’epoca dei fatti aveva tra i propri soci anche Alessandro Conticini, fratello di Andrea, marito di Matilde Renzi, sorella del premier e a sua volta socia nella Eeventi 6. Alla Chil Post rimangono così solo i debiti tra cui un mutuo di 496.717,65 euro stipulato nel luglio 2009 con il Credito Cooperativo di Pontassieve. Una cifra sostanziosa, concessa con un mutuo chirografario: senza accensione di ipoteche, quindi, ma solo basato sulle garanzie. La banca è guidata da Matteo Spanò, grande amico e sostenitore del premier. Nel 2005, Spanò era stato nominato direttore generale della Florence Multimedia, società della Provincia di Firenze creata dal neoeletto Renzi per la comunicazione e poi finita nel mirino della Corte dei Conti che ha inizialmente ipotizzato un danno erariale di 10 milioni di euro. Non solo. Spanò era anche socio di Conticini nella Dot Media, società che ha ricevuto appalti diretti dal Comune, negli anni in cui Renzi è stato sindaco, e da altre controllate come la Firenze Parcheggi guidata dal fidatissimo Marco Carrai. Diventato presidente della banca, Spanò elargisce il prestito alla Chil post di Tiziano Renzi che per ottenerlo riceve la copertura a garanzia del fondo per le piccole e medie imprese da Fidi Toscana spa della regione guidata da Enrico Rossi e partecipata anche da Provincia e Comune di Firenze oltre alla Cassa di Risparmio nel cui board siede Carrai. Fidi Toscana delibera la copertura dell’80% e il 13 agosto 2009 la banca versa i soldi alla Chil. I ratei vengono regolarmente pagati per due anni. Poi la società, nel frattempo svuotata della parte sana e poi ceduta ad altri titolari (ora indagati assieme a Tiziano Renzi), non rispetta più i versamenti e dichiara fallimento. Così nell’estate 2013, la banca, ammessa al passivo dal tribunale fallimentare di Genova, si rivolge a Fidi ottenendo il versamento di 263.114,70 euro, l’80% dell’esposizione complessiva. E la vicenda potrebbe chiudersi qui. Invece il 18 giugno 2014, il ministero dell’Economia, stranamente, delibera di rifondere Fidi di 236.803,23 euro e liquida la somma il 30 ottobre successivo attraverso il Fondo Centrale di Garanzia. E così il debito contratto dal padre di Renzi è stato coperto dallo Stato.