Forti “pressioni” sulla Consulta per bocciare il referendum sull’Articolo 18
Forti pressioni, una “guerra” senza esclusione di colpi. Su una questione caldissima come l’ammissibilità del referendum della Cgil sull’articolo 18. E la Corte si divide tra Sciarra e Amato proprio come avvenne ad aprile del 2015, quando i giudici furono chiamati ad esprimersi sul ricorso contro il prelievo governativo sulle pensioni. Anche allora Silvana Sciarra, scelta da Renzi e votata dal Parlamento nel 2014, si scontrò con Amato. Era relatrice sulle pensioni, proprio come oggi sull’articolo 18, e la spuntò grazie al voto determinante dell’allora presidente Alessandro Criscuolo. Stavolta la battaglia è difficile. Prova ne è che lo stesso governo ha deciso di dare mandato all’Avvocatura dello Stato di rappresentarlo e di difendere il Jobs Act. E lo ha fatto dopo giorni di incertezza, nei quali il ministro del Lavoro Poletti ha insistito per costituirsi mentre palazzo Chigi continuava a reagire con freddezza. Adesso il difficile compito di tutelare e salvare il Jobs Act spetterà al vice avvocato generale Vincenzo Nunziata, giusto lo stesso che ha sulle spalle la difesa dell’Italicum il 24 gennaio. Per l’Avvocatura il quesito della Cgil è palesemente inammissibile perché non mira solo ad abrogare l’articolo 18 nella versione Poletti-Fornero, ma va oltre e crea una norma del tutto nuova, anche rispetto alla vecchia legge del ‘70, lo Statuto dei lavoratori, norma per cui è possibile dribblare il licenziamento anche per le aziende da 5 dipendenti in su. È la tesi sostenuta il 16 dicembre su Repubblica da Pietro Ichino, ma anche da esperti come Tiziano Treu e Giuliano Cazzola. Sicuramente è la tesi che Nunziata, per conto del governo, sosterrà alla Consulta. Bisognerà aspettare il 5 gennaio per poter leggere le argomentazioni ufficiali dell’Avvocatura, ma stando alle indiscrezioni che trapelano dai colloqui con palazzo Chigi la linea è già tracciata. Un referendum spurio quello della Cgil – sarà la linea – non solo abrogativo, ma di fatto propositivo e manipolativo. Quindi da bocciare. Non è un mistero che la pensi proprio così Giuliano Amato, in queste ore a caccia di consensi alla Corte per sconfiggere la “nemica” Sciarra, intenzionata invece a dichiarare ammissibile il quesito della Cgil nella sua integrità o quanto meno escludendo solo le righe che riguardano il reintegro dei lavoratori licenziati nelle piccolissime imprese. Altri osservano che il referendum proporrebbe una pluralità di quesiti. Anche questo argomento è infondato, dato che i quesiti, pur riferendosi a una molteplicità di fonti di disciplina, convergono unitariamente su una domanda univoca: l’abrogazione della libera licenziabilità e il ripristino della tutela reintegratoria per i licenziamenti ingiustificati. La tesi più insidiosa consiste nell’affermare che il quesito referendario introdurrebbe una disciplina “nuova”, e che sarebbe per questo – appunto – “inammissibile”. La novità consisterebbe nel fatto che abrogando parti di precedenti discipline verrebbe reintrodotto il diritto alla reintegrazione in caso di licenziamenti ingiustificati per tutte le imprese con più di 5 dipendenti. La tesi è davvero capziosa. E’ facile infatti osservare che ogni referendum abrogativo di per sé introduce una disciplina “nuova”.