Diritti di un padre non sposato
Cosa spetta a chi ha avuto un figlio da un’unione di fatto: dal riconoscimento alla scelta del nome e del cognome, dall’affidamento alla residenza.
Hai avuto un figlio dalla tua compagna. Tra di voi però le cose si sono messe male e, a seguito di alcuni litigi, avete deciso di separarvi. Sei tornato a vivere da solo; ciò nonostante non vuoi perdere il rapporto con tuo figlio che ha ancora pochi mesi. Vuoi vederlo, vuoi riconoscerlo e dargli il tuo cognome, vuoi partecipare al suo battesimo, vuoi avere voce in capitolo in merito alle future scelte che saranno prese per la sua educazione, crescita, istruzione. Temi tuttavia che all’esercizio di questa tua legittima pretesa si frapponga la madre la quale sta già opponendo una serie di ostacoli. «Il figlio è innanzitutto mio» ti ha detto senza mezzi termini. Così ti chiedi quali diritti ha un padre non sposato.
Qui di seguito vi spieghiamo cosa può rivendicare un padre single che abbia avuto un figlio da un’unione di fatto, ossia non fondata sul matrimonio. Come avrai modo di vedere più in avanti, non c’è molta differenza tra un padre sposato e un padre non sposato. Se è vero, infatti, che i rapporti tra uomo e donna variano a seconda che siano o meno fondati sul matrimonio, le cose vanno diversamente quando si passa al rapporto tra genitori e figli. La cosiddetta “filiazione” infatti non risente dell’esistenza di un vincolo coniugale tra i due genitori. Sicché i diritti e i doveri di padre e madre sposati non divergono rispetto a quelli spettanti alle coppie di fatto.
Ecco quali sono i diritti di un padre non sposato:
Il padre non sposato ha diritto a riconoscere il figlio
Il bambino nato da una coppia di conviventi (di sesso diverso), acquista lo stato di figlio solo se i genitori conviventi effettuano il riconoscimento, ossia l’atto con cui dichiarano di essere padre o madre del soggetto nato fuori dal matrimonio, creando in tal modo il rapporto di filiazione: è pertanto un atto essenziale per poter garantire ogni forma di tutela al figlio e al genitore che se ne prenderà cura.
La madre non può impedire al padre naturale di riconoscere il proprio figlio e, quindi, di dargli il proprio cognome. Non è la madre infatti ma il rapporto di filiazione che determina l’attribuzione del cognome del neonato.
Il padre che rifiuti di riconoscere il proprio figlio non perde però i suoi doveri come l’assistenza morale e materiale. Anzi, questi rischia il riconoscimento “coattivo” a seguito dell’esame del Dna.
Conseguente al riconoscimento è anche la partecipazione del padre nella scelta del nome del figlio. Nel caso di disaccordo tra i genitori, sceglie il giudice.
Il padre non sposato ha la responsabilità genitoriale
I genitori sono titolari della cosiddetta responsabilità genitoriale: devono cioè esercitare i diritti e doveri che la legge attribuisce loro nell’interesse dei figli, per garantirne la cura, l’istruzione e l’educazione e il mantenimento nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.
La responsabilità genitoriale spetta quindi sia al padre che alla madre, a prescindere dal fatto che questi siano o meno sposati. Dunque, se il figlio nasce da una coppia di fatto, il genitore che lo ha riconosciuto esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio è stato fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta a entrambi e deve avvenire di comune accordo. In caso di disaccordo si può ricorrere al giudice. In tal caso è il magistrato a stabilire quale delle due soluzioni prospettate è la più confacente agli interessi del bambino. Il tribunale non può però imporre una terza via, diversa da quella proposta dai due genitori.
La responsabilità genitoriale del padre non cessa per il solo fatto che questi smette di convivere con la madre ma viene meno solo con la maggiore età del figlio. La responsabilità genitoriale può essere affidata in via esclusiva a uno solo dei genitori solo se l’altro muore o ha un grave impedimento definitivo o temporaneo (lontananza, incapacità, condanna penale che comporta la perdita o la sospensione dell’esercizio della potestà, decadenza dalla potestà).
La residenza del figlio
I genitori stabiliscono, di comune accordo, la residenza abituale del figlio minore. Se invece i genitori sono separati (anche in caso di coppia di fatto) è il giudice a stabilire, in caso di disaccordo tra i due, presso chi il bambino dovrà andare a vivere. È ciò che si definisce «collocamento»: il collocamento esprime la residenza abituale del minore che necessariamente viene posta presso uno solo dei due genitori.
La Cassazione, sposando la tesi della cosiddetta maternal preference, sostiene che, se non vi sono particolari e gravi ragioni per disporre il contrario, i bambini in età ancora scolare devono essere collocati presso la madre. In ogni caso, la scelta va sempre presa dopo aver sentito il figlio se maggiore di 12 anni o, purché dotato di discernimento, anche se minore.
Il padre non sposato ha diritto all’affidamento condiviso
Una cosa è la collocazione – ossia la fissazione della residenza – del figlio, un’altra l’affidamento. L’affidamento esprime l’insieme di poteri che competono al genitore in merito alle decisioni più importanti relative alla crescita, educazione, istruzione e salute del figlio. Se non vi sono gravi ragioni per negare al padre tale diritto, a questi spetta il cosiddetto affidamento condiviso. In buona sostanza, con lo scioglimento della coppia di fatto (così come per quella sposata), entrambi i genitori mantengono gli stessi poteri/doveri nei confronti del bambino: devono cioè prendere di comune accordo le decisioni eccedenti “l’ordinaria amministrazione”.
Collegato all’affidamento è anche il dovere all’assistenza nei confronti del figlio che può essere sia materiale (consistente nel mantenimento economico, da erogare fino a quando il giovane non diventa economicamente autosufficiente) sia morale (consistente nel dovere di partecipare ai momenti più importanti della vita del figlio e alle visite periodiche).
Diritto di visita
La madre non può negare all’ex partner di un’unione di fatto di vedere il proprio figlio ed esercitare così il cosiddetto diritto di visita. In assenza di accordo tra le parti, è il giudice che fissa il calendario, di solito rapportato all’età e alle necessità del bambino. Sicché, per un neonato, il diritto di visita è più contingentato, tenendo conto della necessità di allattamento e della maggiore presenza della madre per le cure quotidiane.
Il diritto di visita di un figlio non può essere negato al padre non sposato, pena la perdita per la madre della collocazione del minore e, nei casi più gravi, anche dell’affidamento condiviso.
Procreazione assistita
I conviventi di fatto possono accedere alla procreazione assistita solo se di sesso diverso e in età potenzialmente fertile. In caso di nascita di un bambino mediante il ricorso a tali tecniche il riconoscimento del figlio non è più libero e discrezionale, ma consegue automaticamente per effetto del ricorso a tali tecniche: in tal caso pertanto uno o entrambi i genitori devono procedere immediatamente con la dichiarazione di nascita secondo quanto esaminato per il figlio nato nel matrimonio.
Adozione
I conviventi di fatto sono di regola esclusi dall’adozione di minori, con l’eccezione dell’adozione in casi particolari, mentre sono ammessi all’adozione di un maggiorenne.
Consultori familiari
I conviventi hanno diritto alle prestazioni di assistenza alla famiglia e alla maternità fornite dai consultori familiari, che forniscono questi servizi:
assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità e alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile; somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell’integrità fisica degli utenti.
Fonte: La legge per tutti