Cassazione: Sì ai referendum contro il Jobs Act. Arma letale contro la UE
Cassazione. Sì ai Tre referendum promossi dalla Cgil su Jobs act, voucher, e appalti; sempre se la Corte Costituzionale, accolga anch’essa i quesiti. La prima verifica sulle firme raccolte, 3,3 milioni depositate all’inizio di luglio, controllate dal Centro elettronico di documentazione della Suprema corte, ha validato il superamento per tutte e tre le iniziative referendarie delle 500mila sottoscrizioni necessarie per legge. Poi dopo la verifica sulla «conformità alla legge», i 21 giudici che compongono l’Ufficio centrale hanno ascoltato il Comitato promotore della Cgil, e il relatore Giuseppe Bronzini, ha depositato le sette pagine dell’ordinanza che dichiara «conformi alla legge» le richieste del sindacato. Se anche la Consulta si pronuncerà nella stessa direzione, il (futuro) governo avrà sei mesi di tempo per fissare la data della consultazione.Tre quesiti, i cui titoli alla fine, con l’accordo del Comitato promotore e degli stessi giudici, saranno questi: «abrogazione disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi; abrogazione sul lavoro accessorio (voucher); abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti». Un testo molto articolato, soprattutto quello che riguarda il sostanziale ripristino del famoso articolo 18 sul reintegro dei lavorati licenziati. Il quesito è strategico. Ha l’obiettivo di cancellare la norma che liberalizza i licenziamenti economici, per tornare invece alle tutele dell’articolo 18 contenuto nella famosa legge 300 del 20 maggio 1970 e dal titolo «Reintegrazione nel posto di lavoro ». Una pagina che in Italia ha fatto la storia dei rapporti tra i padroni e i lavoratori. I contratti stipulati dopo il Jobs act invece vedono ridotte le possibilità di reintegro del lavoratore licenziato. Anche dopo un ricorso al giudice del lavoro, e pur in presenza di una sentenza a favore, il reintegro viene negato, salvo che il licenziamento non sia avvenuto per motivi discriminatori o in alcuni casi per motivi disciplinari. Nessuna possibilità di essere riammesso al lavoro qualora la procedura nasca da motivi economici, se l’azienda è in crisi. Col secondo quesito la Cgil chiede di abrogare il lavoro privo di un regolare contratto, e retribuito con buoni lavoro dell’Inps. Dopo il boom dei buoni, a fronte di un minor numero di assunzioni stabili, la Cgil ha scatenato l’offensiva contro uno strumento che «aumenta la precarietà». Il terzo punto per garantire che le imprese subappaltatrici paghino i contributi ai loro dipendenti. L’obiettivo è quindi quello di tornare alle “vecchie” protezioni contro i licenziamenti senza giusta causa.