Euroexit: referendum incostituzionale. Ecco le uniche soluzioni percorribili
Euroexit. Molti sono i sostenitori di un referendum per uscire dall’Euro, inclusi diversi politici di spicco. Ma la realtà è ben lontana. I Trattati Europei individuano chiaramente all’art.50 del TUE il percorso di uscita di uno Stato dall’Unione Europea. Lo Stato deve comunicare la volontà di recedere mediante la notifica al Consiglio Europeo. Successivamente, si apre una negoziazione tra lo Stato e l’Unione sulle modalità del recesso riguardante condizioni procedurali, non sostanziali, quindi si tratta di un recesso volontario vero e proprio. Infatti l’accordo viene concluso seguendo la procedura di negoziazione tra l’Unione ed i Paesi terzi prevista dall’art. 218 paragrafo 3 del TFUE, quindi in un certo senso lo Stato viene già considerato come uscente a tutti gli effetti. Il Consiglio delibera sull’accordo a maggioranza qualificata, previa approvazione dal Parlamento Europeo. Dall’entrata in vigore dell’accordo i Trattati cessano di essere applicati nell’ordinamento dello Stato recedente. Nel caso in cui non si riesca a concludere l’accordo, il recesso dall’U.E. si considera comunque efficace due anni dopo la data della notifica al Consiglio Europeo della volontà di recedere, salvo che lo Stato membro ed il Consiglio all’unanimità non decidano la proroga del termine. Invece, manca una via predefinita per il recesso dall’eurozona e ciò è quantomeno sintomatico della scarsa ispirazione democratica dei Trattati Europei. Un’omissione creata ad arte, proprio per impedire una rottura dell’Unione Monetaria, così come palesemente ammesso da Jacques Attali, uno dei padri del Trattato di Maastricht: “Innanzitutto, coloro che (di cui ho avuto il privilegio di far parte) hanno partecipato alla stesura delle prime versioni del trattato di Maastricht, hanno fatto in modo che non fosse possibile uscire. Ci si è accuratamente dimenticati di scrivere l’articolo che permettesse l’uscita. [Alcune risate e applausi in sala…] Non è stato molto democratico, evidentemente, ma è stata una grande garanzia per rendere le cose più difficili, per forzarci ad avanzare. Perché se si esce, ipotesi che naturalmente è sempre possibile, è impossibile, vale a dire naturalmente, se si vuole si può, ma è molto complicato, non vado avanti ma è molto complicato uscire sia dall’alto che dal basso, è molto complicato.” Tuttavia questa assenza non deve scoraggiare perché è possibile ricostruire in via interpretativa quali possano essere le strade percorribili per un’uscita dall’Eurozona. Le ipotesi che vengono presentate nel dibattito politico e giuridico sono essenzialmente quattro:
1) Il referendum sull’euro
2) L’uscita unilaterale mediante modifica dei Trattati (TUE e TFUE)
3) Il recesso dall’eurozona in base all’art.139 e all’art.140 TFUE
4) Recesso dai Trattati Europei secondo il diritto internazionale
ReferendumE’ indubbiamente l’ipotesi più nota all’opinione pubblica. Tuttavia, un referendum sull’euro, in linea di principio, è contrario alla nostra Costituzione. L’art.75 della Costituzione pur prevedendo l’indizione di un referendum popolare per l’abrogazione di una legge o di un atto avente forza di legge, a richiesta di cinquecentomila elettori o di cinque consigli regionali, vieta, al secondo comma, il referendum abrogativo su un Trattato Internazionale, in considerazione della peculiarità dei rapporti giuridici intercorrenti tra gli Stati. Quindi, l’euro non può essere oggetto di un referendum abrogativo perché è entrato in vigore con la legge n. 454 del 1992 di ratifica del Trattato di Maastricht approvata dal parlamento, così come previsto del procedimento di ratifica dei Trattati Internazionali all’art. 80 della Costituzione. Si può certamente affermare che i padri costituenti non avessero potuto prevedere che uno strumento cruciale di uno Stato quale la politica monetaria potesse essere ceduto ad un organismo sovranazionale, ma questo è un altro discorso. Invece, è utile segnalare la posizione di coloro i quali 2 ritengono percorribile la strada del referendum, non abrogativo ai sensi dell’art.75 della Costituzione, ma “di indirizzo”, rifacendosi ad un precedente caso. Con la legge costituzionale n.2 del 3 aprile del 1989 veniva indetto un referendum consultivo sul conferimento del mandato costituente al Parlamento Europeo . Non essendo previsto dalla Costituzione, per queste materie, un referendum consultivo, il parlamento italiano aveva dovuto adottare appositamente una legge costituzionale, approvata ai sensi dell’art.138 della Cost. quindi a maggioranza rafforzata. Di conseguenza, per promuovere un referendum “d’indirizzo” sull’uscita dall’euro si dovrebbe individuare una maggioranza parlamentare adeguata per approvare una proposta di legge costituzionale. Infatti, anche se si riuscissero a raccogliere le cinquantamila firme per presentare un’iniziativa di legge popolare, avente ad oggetto l’indizione di un referendum d’indirizzo per l’uscita dall’euro, il parlamento italiano non avrebbe comunque l’obbligo giuridico di approvarla. Ugualmente, nel caso in cui si rivolgesse una petizione dal medesimo contenuto al Parlamento ai sensi dell’art.50 della Costituzione, le due Camere potrebbero non darle seguito. Per questo motivo la presenza di una maggioranza politica in parlamento adeguata per sostenere l’adozione della legge costituzionale sarebbe assolutamente necessaria. Inoltre, probabilmente, si dovrebbe valutare attentamente il momento più opportuno per intraprendere un’azione simile. Cercare di mettere in moto un tale meccanismo in uno stato di totale disinformazione dei cittadini e di allineamento delle forze politiche sulla volontà di rimanere nell’eurozona, potrebbe avere l’effetto di stroncare definitivamente il dibattito democratico che si sta cercando di stimolare negli ultimi tempi.
- L’uscita unilaterale dall’eurozona potrebbe essere effettuata mediante una modifica dei Trattati (TUE e TFUE) ai sensi dell’art. 48 del Trattato dell’Unione Europea.Tuttavia, la procedura di revisione dei Trattati è particolarmente complessa.
L’art. 48 prevede delle procedure di revisione ordinarie (commi 2-5) e delle procedure di revisione semplificate (commi 6-7). Si ritiene che un’eventuale revisione del Trattato per ottenere l’uscita di uno Stato dall’eurozona si debba porre in essere principalmente mediante una procedura semplificata, infatti l’art. 48 paragrafo 6 prevede che: “6. Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relative alle politiche e azioni interne dell’Unione.”Invero, la Parte Terza del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) comprende, al Titolo VIII, le disposizioni inerenti la Politica Economica e Monetaria. Quindi, l’impulso per la revisione dovrebbe pervenire dal Governo di uno Stato Membro, dal Parlamento Europeo o dalla Commissione Europea. Presumibilmente, il Governo dello Stato membro dovrebbe agire in base ad una deliberazione del Parlamento nazionale. Nel caso dell’Italia, l’input potrebbe pervenire da un’iniziativa di legge popolare secondo l’art.71 della Cost. . In questo caso però è da considerare che il Parlamento italiano non ha l’obbligo di approvare una proposta di legge popolare, quindi senza una maggioranza parlamentare adeguata che sostenga l’iniziativa si rischia l’insabbiamento. L’art. 48 non specifica in quale forma normativa il Parlamento Europeo e la Commissione Europea possano agire per richiedere una modifica dei Trattati, quindi è necessario tentare di individuare quale possa essere il percorso da seguire. Il Parlamento Europeo esercita congiuntamente al Consiglio la funzione legislativa, infatti la procedura legislativa ordinaria (per l’adozione di un regolamento, una direttiva o una decisione) si esplica mediante un meccanismo di codecisione tra le due istituzioni.È necessario considerare che, a differenza di ciò che è previsto nei Parlamenti nazionali, l’iniziativa legislativa non è, in via preminente, di competenza del Parlamento, bensì, quasi in via esclusiva, della Commissione Europea. Al limite, un potere di “preiniziativa” nei confronti della Commissione potrebbe essere esercitato dal Parlamento, ai sensi dell’art.225 TFUE, e da un milione di cittadini dell’Unione Europea (art. 11 paragrafo 4, TUE) . Tuttavia, la Commissione potrebbe anche non dar seguito ad una tale proposta di legge, facendo pervenire le proprie motivazioni al Parlamento Europeo. Oltre a ciò, il Parlamento Europeo esercita le proprie funzioni nell’interesse dell’Unione Europea e non dei cittadini europei. Infatti è un organo, al pari della Commissione, congegnato per contrapporsi alle istanze particolaristiche provenienti dagli Stati Membri, rappresentate invece dal Consiglio e dal Consiglio Europeo.Inoltre il Parlamento può emettere pareri e raccomandazioni non vincolanti nei confronti delle altre istituzioni.Infine, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea il Parlamento ha un potere generale di deliberare e di adottare risoluzioni su qualsiasi questione concernente l’Unione. Pertanto, si può ipotizzare che l’impulso del Parlamento Europeo per la revisione dei Trattati possa avvenire anche senza una forma rigidamente predeterminata in ottemperanza a tale generale potere.