Vertici BancaEtruria legati al clan dei Casalesi. ll tesoro di papà Boschi salvato dal governo

Vertici BancaEtruria. Mentre la Popolare di Etruria e del Lazio stava andando a picco, nell’ultimo anno di amministrazione ordinaria (il 2014), gli affari del suo vicepresidente, Pier Luigi Boschi se la cavavano assai meglio. Perfino meglio di quel che stava accadendo all’Italia, il cui governo era in mano a Matteo Renzi, e alla figlia del manager bancario, Maria Elena Boschi. Per papà Boschi l’unica cosa che era raddoppiata sul posto principale di lavoro quell’anno era la busta paga. Nel 2013 era solo consigliere di amministrazione della banca, e in più riceveva anche una piccola indennità come ricompensa dell’incarico ottenuto di membro del comitato esecutivo: in tutto 72mila euro. Nel 2014 papà Boschi era stato promosso vicepresidente, e lo stipendio lievitò a 189mila euro (stesso emolumento corrisposto l’anno prima a Lorenzo Rosi che da vicepresidente però aveva fatto un salto ancora più alto diventando presidente). A Banca Etruria il Boschi era di casa da anni, anche perchè uno dei figli, Emanuele, proprio lì dentro stava facendo la sua carriera. Papà vicepresidente divenne per una ragione squisitamente politica. La racconta uno dei piccoli soci della banca – Pierino Lega – durante l’ assemblea del 4 maggio 2014, parlando al presidente uscente Giuseppe Fornasari: «Il nostro esimio presidente in liaison con il direttivo», disse Lega, «ha pianificato e unito le due fazioni che si contendevano il potere in questa assemblea, costruendo così ad arte un nuovo direttivo di larghe intese, una sorta di grosse coalition, come per dire ha unito e sposato il diavolo e l’acqua santa». Ecco, l’acqua santa era proprio lui, Pier Luigi Boschi. Ma – si chiedeva il piccolo socio dell’Etruria che oggi è restato senza un centesimo in mano, «insieme partoriranno gli angioletti? Quegli angioletti, che si adopereranno in modo responsabile, per il bene di questa gloriosa banca, che ultimamente ha tradito la fiducia dei clienti ed azionisti?». Ecco, sembra la storia di Italia in cui padre e figlia vanno a braccetto: le larghe intese, centrodestra e centrosinistra che si sposano, gli angioletti che a Roma debbono salvare l’ Italia e ad Arezzo sono convinti di essere i salvatori della banca popolare. E a Roma come ad Arezzo l’unione invece di fare la forza, combina disastri epocali. In quell’ anno di grosse coalition in banca l’Etruria riduce il proprio patrimonio netto di 5 miliardi di euro. La raccolta diretta scende del 32,90%. Il portafoglio di proprietà si assottiglia del 62,30%. Il margine di intermediazione si riduce del 40,52%, il risultato di gestione peggiora dell’ 86,37%. Il risultato lordo della gestione operativa- che già era negativo- peggiora del 514,24%, il risultato di esercizio ancora peggio: rosso cresciuto del 547,7%. Il Pierino Lega socio che non se la beve e che ironicamente descrive quegli angioletti partoriti da diavolo e acqua santa, quel giorno fa il grillino di turno, e forse colpisce nel segno. Alla situazione salvifica delle larghe intese per l’ Etruria non crede affatto, ma i suoi occhi non vedono male quel che sta accadendo: «A pagina 314 del bilancio leggo con profondo disappunto che il presidente Fornasari percepisce 426.000 Euro. Il nuovo presidente Rosi percepirà la stessa cifra. Il direttore Bronchi percepisce 633.000 euro pari a 1 miliardo 266.000 lire. Il presidente Obama ne percepisce 300.000 di euro…”. Ecco l’ affare di quella larga intesa: la banca non solo non verrà salvata, ma rovinata per sempre. In compenso gli angioletti afferrano subito quel che c’ è di afferrabile: gli emolumenti, e i loro patrimoni personali non hanno lo stesso destino di quelli della banca amministrata. Accade anche a papà Boschi, che partecipa ad amministrare l’Etruria come abbiamo visto, ma che quando si tratta di affari privati e personali dimostra di essere un fior di gestore. Il suo patrimonio (condiviso con la famiglia in alcuni casi) non solo non ci rimette un euro, ma lievita. Il conto finale è positivo: +11,80%. Ammonta a un milione e 173mila euro il patrimonio di Boschi che ora è scudato grazie alle leggi del governo di cui fa parte la figlia dalla rabbia degli azionisti e degli obbligazionisti traditi, ma impossibilitati a fare valere direttamente le loro ragioni nei tribunali della Repubblica. E in quella somma c’ è anche una discreta crescita di valore (circa 120mila euro) rispetto all’ anno precedente. Un calcolo che abbiamo potuto effettuare solo per difetto. Perchè non sono compresi i patrimoni liquidi che certamente ci sono (papà Boschi ha ricevuto ad esempio in eredità immobili che poi ha venduto), ma non sono disponibili senza il consenso del diretto interessato. Abbiamo indicato il valore delle proprietà immobiliari direttamente detenute da papà Boschi (nel caso della abitazione principale in condivisione con la moglie) con il valore di mercato calcolato da Cerved sulla base dei dati dell’ Osservatorio immobiliare. Sono cespiti ampi: un immobile con 6,5 vani e uno con 13,5 vani più ampio garage, situati però nel piccolo comune di Laterina, e complessivamente sono valutati 599mila euro. Per le partecipazioni societarie è stata calcolata per le quote detenute da papà Boschi la divisione del patrimonio netto e degli immobili posseduti al valore di mercato: ce ne sono a Laterina, a Gaiole in Chianti, a Montevarchi, a Loro Ciuffenina e a Castiglion Fibocchi.

Non è stato calcolato il valore dei terreni posseduti, che pure non sono pochi, perchè non è disponibile una valutazione ufficiale di massima. In un caso – la partecipazione al 25% in Progetto Toscana, l’unico valore disponibile risale al 2013, perchè la società non ha più presentato bilanci né depositato atti societari pur non risultando né sciolta né messa in liquidazione. Non sono compresi nel patrimonio nemmeno i valori di una società agricola messa in liquidazione nel 2015 (la Montecucco) né quelli della società personale con cui il Boschi esercita l’ attività di viticoltore. Ma sia pure per difetto è chiara la storia felice del patrimonio di Boschi papà che facendo il banchiere ha reso invece infelici migliaia di piccoli risparmiatori. Intanto il gip di Arezzo ha disposto l’arresto di Valerio Mureddu, faccendiere di origine sarda, coinvolto nell’inchiesta sul crac di Banca Etruria, per bancarotta fraudolenta. Secondo l’accusa, a Mureddu, 40 anni, sarebbe riconducibile l’azienda di imballaggi Geovision, con sede in Valdichiana, dichiarata fallita. Tale fallimento sarebbe imputabile, ipotizzano gli inquirenti, a distrazioni patrimoniali, ricollegabili a loro volta alla bancarotta dell’istituto toscano. Il nome di Mureddu era già arrivato alla ribalta delle cronache nei mesi scorsi: nel 2014 sarebbe stato lui ad accompagnare Pierluigi Boschi, padre dell’ex ministro Maria Elena, da Flavio Carboni, un altro “faccendiere”, anch’egli di origine sarda, per un incontro finalizzato all’individuazione di un nuovo direttore generale per la banca. E non è finita qui. Le vicende criminali, le indagini e gli arresti, la confisca di beni che in Toscana ammontano a 200 e di consistenti rapporti bancari, e che hanno fatto emergere il coinvolgimento della provincia aretina e di alcuni settori imprenditoriali in attività della camorra e della n’drangheta, sono numerose e preoccupanti. Ne ricordiamo tre per tutti. Nel 2006 a Terranuova Bracciolini è avvenuta l’esecuzione di due manovali calabresi, uccisi con un colpo di pistola alla nuca; i killer avevano già preparato la fossa dove sotterrarli e avevano recato con loro la calce per occultarne l’odore, un delitto di n’drangheta che dimostra penetrazione del territorio e bisogno di silenzio, quella volta tuttavia lacerato, sebbene solo per l’inopportuno fiuto di un cane da caccia. Nel settembre 2011 viene arrestato a Napoli Gaetano Cerci, legato a Francesco Bidognetti e a Vincenzo Schiavone, di cui ha favorito la latitanza, due dei capi delle più potenti famiglie della camorra casalese. Ha partecipato fattivamente alla lucrosa attività del traffico illecito di rifiuti tossici dalla Toscana alla Campania, attraverso la società Ecologia 89. E’ considerato “elemento di raccordo” tra la massoneria e la criminalità organizzata casalese. Ha avuto, come visto sopra, rapporti con Licio Gelli e diversi pentiti hanno riferito del coinvolgimento del capo della P2 nei traffici illeciti di rifiuti dal nord verso il sud. Nel maggio dello stesso anno, anche Raffaele Cantone aveva parlato di mafia ad Arezzo. “Ci sono arrivati negli anni ’80 e si sono trovati bene, provincia tranquilla, ideale per operare nell’ombra”. Cantone si riferiva ai lavori per la realizzazione della Direttissima Ferroviaria. E’ stata l’occasione in cui ditte, spesso infiltrate o diretta emanazione di camorra e n’drangheta, si sono insediate in quella fascia di terra che sta a cavallo tra alta velocità ferroviaria e autostrada A1, soprattutto con le imprese per il movimento terra. Sappiamo che non è dato vedere grandi opere in Italia senza la corruzione e i subappalti mafiosi. È la cabina di regia che la Guardia di Finanza ha scoperto con riferimento alle inchieste su Banca Etruria (evidentemente le cabine di regia non portano fortuna)

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