Gli Usa chiamano in giudizio Google. Fine del monopolio sui motori di ricerca? E l’Europa sta a guardare
È passato un mese da quando il Ministero statunitense della Giustizia ha accusato la holding Alphabet (Google) di aver tutelato in maniera illecita il proprio monopolio sulla pubblicità che compare sui motori di ricerca
Sputnik ha indagato sui motivi del conflitto tra le autorità statunitensi e il gigante dell’IT e sulle modalità in cui questo influisca sulla vita dei cittadini russi.
Complotti e accordi
La citazione in giudizio del Ministero statunitense della Giustizia è stata presentata il 20 ottobre innanzi il tribunale giurisdizionale del distretto della Columbia. Il suo contenuto può essere ricapitolato come segue. Google è sospettato di aver complottato insieme ad Apple, ai fornitori di telecomunicazioni mobili e altri attori del mercato degli smartphone. Pare che Google abbia offerto agli altri soggetti coinvolti alcuni incentivi per impostare il motore di ricerca di Google come alternativa di default per i loro utenti.
Alphabet-Google sono accusate di aver posto in essere una pratica anticoncorrenziale che si riflette poi sul funzionamento del sistema operativo Android. I dispositivi sui quali sono predisposti i servizi di Google (dal client di posta elettronica all’assistente vocale) offrono esclusivamente pubblicità di Google.
L’accusa ritiene che la multinazionale abbia inibito il naturale processo evolutivo sul mercato dei motori di ricerca. Google avrebbe stretto con i produttori di dispositivi con sistema operativo Android un accordo secondo il quale Google avrebbe consentito l’accesso ai propri servizi di punta in cambio dell’installazione ad opera dei produttori sui loro dispositivi di alcune applicazioni impossibili da eliminare.
Questa controversia con Alphabet si inserisce in una più grande sequela di procedimenti antimonopolistici contro i giganti americani dell’IT: Facebook, Apple, Amazon e chiaramente Google.
Perché questo è solo l’inizio per Google
Stando all’esito delle audizioni tenutesi nell’estate del 2020 tutte le multinazionali sono state identificate come monopoliste, ciascuna nel proprio settore. Google però ha superato le altre: infatti, nel rapporto del Congresso la società che fino a qualche anno fa era considerata un orgoglio nazionale viene oggi accusata di “estorcere denaro ai clienti per avere accesso a un canale fondamentale di diffusione delle informazioni”.
Già prima della citazione in giudizio di ottobre negli USA si cominciò a parlare della necessità di scindere la holding Alphabet tenendo divise le singole società. Nella storia americana vi furono già precedenti in tal senso. Ad esempio, il crollo dell’impero petrolifero Standard Oil all’inizio dello scorso secolo.
Nel settore dell’IT però non è mai accaduto nulla di simile: il procedimento analogo avviato ai danni di Microsoft all’inizio degli anni 2000 si concluse solamente con la comminazione di sanzioni pecuniarie e con l’imposizione dell’obbligo di non costringere i produttori di computer a utilizzare i software della società.
“In sostanza, Google detiene una piattaforma sulla quale è Google stessa a stabilire le regole per tutti i partecipanti e gli utenti. A seguito della citazione in giudizio si potrebbe verificare non soltanto l’introduzione di condizioni non discriminatorie per l’accesso al sistema Android, ma anche la scissione forzata da Google di alcuni servizi correlati quali YouTube”, osserva il giurista antitrust Kirill Dozmarov, partner di Kulik & Partners Law.Economics.
Chiaramente il sistema giudiziario statunitense non deciderà in tempi brevi in merito al caso Google.
“È molto probabile che il procedimento duri più di un anno (considerate le esperienze pregresse). Sono molte le implicazioni di un simile procedimento. Tra l’altro, alla fine il tribunale competente potrebbe adottare due tipologie di provvedimento: imporre l’obbligo di concludere accordi e installare il motore di ricerca di Google sui servizi Android di altre società per offrire una maggiore varietà agli utenti oppure imporre l’obbligo di cessare l’efficacia degli accordi conclusi con i produttori che hanno preventivamente installato il motore di ricerca di Google”, ritiene Pavel Patrikeev, direttore del dipartimento legale del provider di hosting REG.RU.
La FAS contro Google
In Russia il problema legato al motore di ricerca di Google, installato sugli smartphone di default, fu identificato ben prima. Nel 2017 la FAS (Agenzia russa antitrust) ha raggiunto un accordo con la multinazionale americana. Ora quando uno smartphone o un tablet Android vengono avviati per la prima volta c’è la possibilità di selezionare diversi motori di ricerca.
“È stato proprio il procedimento antitrust avviato contro Google da Yandex e supportato dalla FAS nel 2017 a dare un nuovo impulso alla presenza dei software russi sui dispositivi Android. Inoltre, si consideri anche la legge di recente adozione sulla preventiva installazione obbligatoria di un software russo. Stando ai dati di StatCounter, oltre il 60% del mercato russo degli smartphone è in mano a società asiatiche come Samsung, Xiaomi, Huawei e Vivo che hanno già convenuto di preinstallare un software russo”, spiega Dmitry Rezepov, analista presso General Invest.
Quest’anno, stando ai dati di Liveinternet, circa metà delle ricerche degli utenti russi vengono effettuate su Google, mentre il 47% sul russo Yandex. Si confronti: Google è riuscita a incrementare questo valore sul mercato statunitense dal 78% del 2009 all’88% del 2019.
Tra l’altro l’influenza esercitata da Google non si limita soltanto al desiderio di guadagnare dalle pubblicità. La multinazionale è stata più volte accusata di penalizzare il ranking di agenzie di stampa e blogger la cui opinione fosse contrastante rispetto a determinate idee politiche statunitensi. Questo strumento è stato utilizzato anche per esercitare pressioni sul produttore cinese di smartphone Huawei al quale è stato privato l’accesso ai servizi di Google.
“La scissione di Alphabet in diverse singole società potrebbe ridurre l’influenza degli USA sulla gestione delle informazioni in diversi Paesi. Ma, a latere delle udienze si terranno sicuramente incontri tra i rappresentanti di Google e le autorità degli Stati Uniti. In base agli esiti di tali incontri la multinazionale adotterà decisioni in linea con uno dei seguenti scenari: estensione dei criteri di identificazione delle fake news e incremento del numero di agenzie di stampa “filtrate” nella ricerca; blocco del funzionamento dei servizi di Google in determinati Paesi; estensione dell’accesso ai dati relativi agli utenti dell’ecosistema”, ritiene Vladimir Motin, architetto dei dati e cofondatore del progetto Sixth Sense.
Gli esperti ritengono che le imprese russe operanti nel mercato russo dell’IT potrebbero ottenere vantaggio dalle eventuali restrizioni imposte a Google.
“Se verrà vietato a Google di far preinstallare i propri prodotti sugli Android di tutto il mondo, questo aprirà la strada a Yandex e ad altre società IT a livello nazionale. Tra l’altro, abbiamo già profuso sforzi in questo senso con la legge sull’obbligo di preinstallazione di software russi. Se questi due provvedimenti saranno posti in essere in modalità congiunta, potrebbe aumentare il numero di software russi installati sui dispositivi Android realizzati in Russia”, sostiene Pavel Kaktov, titolare della società di legal tech Kaktov & Partners.
A metà novembre 11 Stati degli Stati Uniti hanno promosso azioni legali antitrust ai danni di Google poiché la multinazionale avrebbe ostacolato il normale sviluppo della concorrenza sul mercato. I legali di Alphabet si stanno preparando per rispondere alla citazione in giudizio della pubblica accusa. La risposta dovrà essere presentata entro il 21 dicembre. Intanto l’Europa sta alla finestra, e non riesce neanche a far pagare le tasse di cui avrebbe diritto. Insomma, una grande confusione regna ancora intorno al mondo di internet.