Centri storici. Manca una definizione legislativa di “centro storico”
La disciplina per i centri storici è carente. Dal convegno di Gubbio del
1960, a cui seguirono quello di Assisi, quello di Venezia e quello di Ginevra dei quali fu protagonista Giovanni Astengo (Torino 1915-Roma 1990).
Dagli anni sessanta sono trascorsi altri 60 anni nei quali sono cambiate sia le condizioni economiche, sia le abitudini di vita ma i problemi non sono stati risolti.
I centri storici minori si sono svuotati a causa dell’ industrializzazione dell’abbandono della agricoltura, e della fine della pastorizia allo stato brado, e soprattutto delle transumanze che avvenivano lungo i tratturi che correvano dai pascoli montani, alle grandi pianure costiere. I piccoli centri lungo questi millenari percorsi che attraversavano più regioni in tutto il Sud Italia sono caduti in rovina. Basta fare l’ inventario dei centri abbandonati in Abruzzo, nel Sannio, in Molise, in Irpinia e nella Daunia.
Le grandi città sono invece cresciute e sono divenute delle grandi divoratrici di energia e concentrazioni d’ inquinamento.
Oggi vi sono molti indicatori che ci mostrano per il futuro del mondo diverse prospettive nelle quali dovrànno essere rispettati i principi della sostenibilità,
le nuove forme di comunicazione consentiranno una più facile concertazione
in molti casi si potrà lavorare a distanza. Molti lavori ed anche interi processi produttivi potranno essere demandati alla robotica e guidati attraverso la telematica, la robotica farà grandi progressi, l’intelligenza umana guiderà forme di resilienza rispetto alle artificiose trasformazioni che l’uomo ha indotto negli ultimi due secoli.
Di conseguenza molte persone potranno tornare a vivere nei piccoli centri assistiti dalle reti. Saranno migliorati anche i collegamenti trasportistici con treni ad alta velocità Air crafts veloci, con aereomobili ibridi. Avremo presto droni e taxi volanti.
Si dice che l’ ostacolo nello scrivere una compiuta legge sui centri storici sia stato costituito dalle difficoltà incontrate nel circoscrivere l’oggetto della tutela, cioè nel perimetrare la parte delle città da considerarsi storica.
Nel Lazio ed in molte altre Regioni questo era stato fatto con gli studi relativi ai piani di coordinamento regionali nei quali si era dimostrato che l’unico modo di perimetrarli era quello di ridisegnarli nella loro struttura originaria, leggibile nelle mappe antiche, o nelle carte dell’ IGM i cui rilevamenti erano fatti prima della seconda guerra mondiale, a tale proposito erano perfetti documenti anche i voli della RAF Royal Air Force britannica.
Nei centri storici va conservato ogni edificio nella intera struttura, al fine di mantenerne l’integrità.
Qualcuno ha creduto chissà per quale motivo che debbano essere considerati vincolati gli edifici pubblici che hanno più di cinquanta anni.
Non si capisce per quale motivo non debbano essere parimenti salvati, considerandoli storici, anche gli edifici privati, i quali possono presentare un valore maggiore di quelli pubblici.
Alcuni comuni hanno stabilito una ricognizione degli edifici che abbiano particolare qualità; ogni città dovrebbe avere una carta della qualità, come quella introdotta con il nuovo piano regolatore di Roma del 2008 nelle zone di espansione edificate nelle prime decadi del 900.
La tutela dovrebbe essere più rigida ad evitare la sostituzione di fabbricati che rispondono a tipologie caratterizzanti i tessuti storici; la sostituzione avvenuta ai Parioli a piazza Pitagora ed in prossimità del quartiere Coppedè è da considerarsi un delitto, come la demolizione e la ricostruzione progettata dallo studio Tamburrino di uno dei palazzi progettati da Koch a piazza Vittorio. Queste sostituzioni avevano avuto dei precedenti negli edifici demoliti e ricostruiti in Corso d’ italia e dintorni alla fine degli anni 50, in particolare la Rinascente di Albini a piazza Fiume, il Jolli hotel dello studio Monaco e Luccichenti a via Pinciana. L’edificio a Via Campania dello studio Passarelli, l’edificio progettato dallo studio Vitale a Via Boncompagni, quello di Moretti a piazzale Flaminio. Potrebbero essere citati altri interventi impropri sparsi nella città storica, l’ hotel Delta, costruito dall’ arch. Giuseppe Perugini a via Labicana in prossimità di S. Clemente e dei Quattro Coronati.
Assurdo pensare che sia il tipo di proprietà che incide sulla qualità architettonica degli edifici. Ci sono palazzi, ville ed edifici privati che hanno un pregio maggiore di edifici pubblici costruiti nella seconda metà del XX secolo.
Di fatto non esiste a livello legislativo una definizione di centro storico ed i tentativi fatti in passato hanno dato luogo ad una nozione vaga;
le due leggi1497 e 1089 emanate nel 1939 dal Ministro Bottai sostanzialmente si limitavano ad una tutela passiva dei singoli monumenti, e delle aree paesaggistiche, non affrontavano il problema, lasciavano ai piani regolatori comunali il compito di tutelare i centri storici.
La tutela si limitava ai beni vincolati con specifico decreto del Ministro della pubblica istruzione.
Per gli edifici si prescindeva dal contesto ambientale in cui questi beni culturali risultassero inseriti.
Il primo vero momento di considerazione dei centri storici da parte del legislatore si è avuto con la legge 765/67, detta “legge ponte “, perchè avrebbe dovuto portare una sorta di collegamento tra il vecchio ed il nuovo sistema.
L’art. 17, comma 5, di tale legge765 /67introdusse, una forma di tutela che finalmente guardava ai complessi ambientali e non soltanto ai singoli immobili di particolare interesse.
La norma vieta, negli “agglomerati urbani aventi carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale”, ogni alterazione di volumi e ogni costruzione sulle aree libere, fino all’approvazione dello strumento urbanistico generale.
Nei centri abitati perimetrati l’art. 41 quinquies poneva il limite di 1,5 MCXM.
Sette anni prima la carta di Gubbio approvata nel 1960 proponeva che venissero disposti i vincoli di salvaguardia e la sospensione di ogni intervento edificatorio, in attesa della predisposizione di Piani di Risanamento Conservativo.
Importanti sono state le modalità operative del documento, che rifiutava i criteri del ripristino e delle aggiunte stilistiche, della demolizione di edifici anche modesti e non ammetteva che vi fossero diradamenti del tessuto, ne che avvenisse l’isolamento dei monumenti, ne nuovi inserimenti in ambiente antico ,come azioni isolate non inserite in un quadro complessivo di trasformazioni urbanistiche.
L’Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici (il cui acronimo è ANCSA) è stata fondata nel 1961 a Gubbio. I suoi soci fondatori sono Giovanni Astengo, V. Baldelli, M. Belardi, M. Benedetti, E. Caracciolo, L. Contenti, G. Martelli, V. Parlavecchio, C. Ripamonti, M. Roffi, G. Romano, E.R. Trincanato; i Comuni di Ascoli Piceno, Bergamo, Erice, Ferrara, Genova, Gubbio, Perugia e Venezia; l’Ente Provinciale per il Turismo di Perugia; l’Azienda Autonoma di Soggiorno Turistico di Gubbio; l’Istituto per le Case Popolari della provincia di Perugia. Tra i suoi iscritti Giuseppe Samonà, Gino Bottoni, Luigi Carlo Daneri, Giancarlo De Carlo, Roberto Pane, Gino Gazzola, Renato Bonelli e Giulio Carlo Argan (che ne fu anche presidente.
Nel 1990 l’Associazione Nazionale Centri Storici Artistici (ANCSA) si è fatta promotrice di un secondo documento, di ripensamento critico e di attualizzazione della Carta, trent’anni dopo la sua pubblicazione. La dichiarazione nota anche come “Seconda Carta di Gubbio” o “Carta di Gubbio 90”, profilava una nuova più ampia attenzione all’intera struttura storica della città, al suo territorio, al paesaggio come insieme interconnesso di sistemi territoriali di valore storico-culturale. Superava inoltre, la visione strettamente legata al territorio nazionale per porsi in una più ampia ottica comunitaria. Nel 1990 l’Associazione si è fatta promotrice di un secondo documento, di ripensamento critico e di attualizzazione della Carta trent’anni dopo la sua pubblicazio.
Per far continuare a vivere i centri storici è necessario assicurarne la sopravvivenza riportandovi la vita che se ne è allontanata a seguito della industrializzazione e dell’ inurbamento e dell’ abbandono delle campagne. È necessario che ritornino nei territorio gli abitanti e le attività. Ci potranno dare aiuto le nuove tecnologie, come lo smart-working e le moderne forme di comunicazione a distanza.
Abbiamo un patrimonio storico enorme costituito da 8000 comuni quasi tutti di origine antichissima. Complessivamente esistono in Italia circa 22000 nuclei storici sparsi tra centri e frazioni.
Secondo alcune rigide prese di posizione i centri storici non dovrebbero essere soggetti a trasformazioni, questi talebani della conservazione definiscono incostituzionali: condoni, sanatorie, piani casa, varianti al PRG; tali affermazioni sono fuori della realtà, piani particolareggiati, piani di risanamento
ed a ristrutturazioni pesanti e lesive del contesto storico e paesaggistico. Come si ricorderà l’art 9 della Costituzione, così recita la Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Che cosa significa? Scienza, tecnica, paesaggio, reperti storici e opere d’arte sono indicati da questo articolo come beni da tutelare.
Tuttavia, benché siano tutti manifestazione della cultura, questo articolo li affronta da due prospettive differenti.
Promuovere la scienza e la tecnica significa concedere la libertà di ricerca e di divulgazione; questa parte dell’articolo esprime allora l’esigenza di difendere sia ciò che costituisce una conquista della creatività umana, sia la libertà di parola.
Tutelare il paesaggio e il patrimonio storico significa invece riconoscere e difendere la particolare ricchezza artistica e ambientale italiana.
Ma perché…? Gli scempi ambientali che hanno caratterizzato l’edilizia italiana per decenni, l’incuria mostrata verso i reperti artistici e le opere dei musei ,sono un chiaro esempio di come una parte di questo articolo sia stata disattesa, mentre hanno preso il sopravvento gli interessi economici e il disinteresse verso i beni culturali e ambientali.
Questa tendenza si è invertita man mano che si sono sviluppati, una maggiore sensibilità verso l’ambiente e un interesse per l’arte
L’interesse deve porsi non solo ai beni artistici in sé, ma anche ai contesti la cui bellezza ha l’importanza fondamentale per promuovere il turismo. La nostra offerta turistica deve promuovere la storia la bellezza la cultura e il paesaggio
È negli ultimi eventi iniziato allora l’abbattimento dei cosiddetti ecomostri, ossia costruzioni, spesso abusive che deturpano il paesaggio, e la valorizzazione delle ricchezze artistiche italiane.
Quando si parla di paesaggio, però, non si intende solo un particolare ambiente caratterizzato da un eccezionale grado di bellezza, ma l’ambiente in cui l’uomo vive e lavora.
La protezione dell’ambiente non deve perseguire finalità astratte, ma deve esprimere, secondo una sentenza della Corte costituzionale, “l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini”. Alcuni in particolare i sostenitori di associazioni culturali e ambientaliste sostengono che Il MIBACT dovrebbe, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione italiana e del D.Lgs. 42/2004 e smi, dettare linee guida e modelli per Regolamenti nazionali tipo, per la tutela dei centri storici, come da proposte che seguono.
A) Nei centri storici dovrebbero essere vietati:
- condoni, sanatorie, piani casa, ristrutturazioni e manutenzioni esterne straordinarie; che non rispondono ad una attenta ricostruzione filologica della tipologia originaria, tuttavia devono essere ammesse quelle trasformazioni che consentono la riutilizzazione di edifici attraverso un cambio di destinazione d’ uso a condizione che si faccia uno scientifico progetto di consolidamento e restauro
- 2) installazione di elementi tecnologici ed edili lesivi del decoro su prospetti principali degli edifici, su quelli che si affacciano su aree pubbliche o a vista dalle stesse (tettoie, caldaie, canne fumarie, climatizzatori, antenne, parabole, discendenti in plastica, pannelli solari e fotovoltaici,serbatoi esterni di accumulo d’acqua. Lasciare monopattini e biciclette abbandonate.
B) Nei centri storici dovrebbe essere obbligatorio: - 1) mantenere e/o sostituire infissi in legno e ferro, come da tradizione storica locale; quindi vietando serrande in metallo o plastica, veneziane, infissi in alluminio anodizzato e sim.
- 2) non intonacare prospetti originariamente in pietra a faccia-vista;
- 3) eliminare superfetazioni di ogni genere:
- – intonaci che ricoprono elementi architettonici e/o storico-artistici,
- – maioliche ed altri elementi vietati e lesivi
- – insegne pubblicitarie, bacheche e tende invasive, etc.
- 4) eseguire soltanto consolidamenti, restauri, recuperi, manutenzioni ordinarie.la realtà a mio avviso è che queste norme per quanto in gran parte condivisibili non risolvono.
Bisogna che lo Stato investa molti soldi per dotare ogni centro storico di un piano di recupero. Servirebbero venti mila milioni di euro da destinare al recupero dei centri storici.
Prima dell’ epidemia si era registrato in Italia il record per il turismo. Nel 2018, gli esercizi ricettivi italiani, con circa 428,8 milioni di presenze e 128,1 milioni di arrivi, hanno raggiunto un nuovo massimo storico, superando il picco già raggiunto nel 2017. Con una quota del 13,6% sul totale della Ue28, l’Italia è il terzo Paese in Europa per numero di presenze negli esercizi ricettivi, dopo Spagna e Francia. Rispetto all’anno precedente, i flussi turistici erano aumentati del 4,0% in termini di arrivi (quasi 5 milioni in più) e del 2,0% in termini di presenze (8,2 milioni di notti in più). Le presenze risultano in crescita per gli esercizi alberghieri (+1,6%), ma soprattutto per quelli extra-alberghieri (+2,7%); questi ultimi hanno registrato un incremento degli arrivi del 6,5%, il doppio di quello, già significativo, degli esercizi alberghieri (+3,2%). Si era consolidato così un trend che aveva visto crescere il peso degli esercizi extra- alberghieri in termini sia di arrivi (dal 19,2% del 2008 al 24,5% del 2018) sia di presenze (dal 32,6% al 34,8%).Continua la dinamica positiva della domanda interna di turismo, con un aumento sia degli arrivi (+3,6%) sia delle presenze (+1,1%) di clienti residenti in Italia. L’incremento della clientela residente ha interessato soprattutto le presenze nelle strutture extra-alberghiere (+1,7% rispetto al 2017).Questa tendenza è confermata dai dati dell’indagine “Viaggi e vacanze”: si stimava che nel 2018 siano aumentati del 18,1% i viaggi effettuati dai residenti pernottando negli esercizi ricettivi italiani.Un andamento particolarmente positivo riguarda la componente non residente: rispetto al 2017, gli arrivi crescono del 4,4% e le presenze del 2,8%; queste ultime aumentano soprattutto nel settore extra-alberghiero (+3,6%, a fronte del +2,3% degli alberghi). La dinamica positiva dei clienti fa sì che le presenze degli stranieri superino, come già nel 2017, quelle dei clienti italiani (216,5 milioni le presenze dei non residenti e 212,3 milioni quelle dei residenti).La permanenza media, ossia il numero medio di notti trascorse negli esercizi ricettivi, è pari a 3,35 notti per cliente e risulta in lieve calo per tutte le componenti del turismo, con riferimento alla tipologia della clientela e dell’offerta.
Dalla terra al cielo Associazione di cultura amministrativa urbanistica ed ambientale
Ricerche e Proposte di Rodolfo Violo (Prof. di Architettura presso l’Università Sapienza di Roma)