Ottobre: il No ha già vinto, e Renzi non si è dimesso
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Ottobre: il No ha già vinto. Non v’è alcuna norma del codice che preveda in caso di sconfitta in una consultazione referendaria, la rimessa del mandato di un governo o del suo premier. Renzi, dunque, non solo è stato incauto, ma assai megalomane nello svoltolare ai quattro punti cardinali, le sue irrevocabili dimissioni in caso di vittoria del No. Attirando su di se il giudizio referendario lo ha reso solo un affare personale. Di contro gli esponenti del suo stesso partito ed alleati di comodo, non ci pensano proprio a lasciare gli scranni di Palazzo Chigi, e Palazzo Madama, perché deputati e senatori sarebbero costretti ad una campagna elettorale anticipata, con l’incubo di una Caporetto, oltre l’addio ad una lauta pensione. Per tutti i senatori il no cadrebbe a fagiolo, stagnazione, e poltrone salve.
Poi le Province, con la miriade di dipendenti, poltrone, familiari, amici degli amici: un secco no, per non rinunciare ai propri diritti acquisiti da generazioni. Infine, tutti i partiti, eccezion fatta per il Pd, anche se con opposizioni all’interno, forse si adatterebbero al si, come annunciato da Bersani. A conti fatti a Renzi restano due opzioni: rimettersi nelle mani di Geppetto per un ulteriore lifting al naso, o dimettersi, ma mai lo farà. Ma cosa si cela davvero dietro la battaglia per il no ed il si? L’ovvia vittoria del No, è già in cascina. Il referendum è solo polvere negli occhi, perché il governo è in piedi solo per le riforme, ed un vessillo bisognava pur sventolarlo in faccia alla massa italiota. Non si tiene però conto degli alti costi per le casse dello Stato che tra elezioni e referendum a go go già persi in partenza, sforano di gran lunga il tetto dei risparmi tanto osannati. I si, quei pochissimi che ci saranno, siamo proprio curiosi di capire da che parte giungeranno.