La Boschi controlla, e pilota il governo. Premier se vince il Sì
Boschi superstar. L’Amazzone renziana, poco più che trentenne, un ministero, autostrade spianate davanti (i pronostici la candidano a tutto, dal Campidoglio a Palazzo Chigi). Sempre prima della classe, dalle elementari all’università, mai una parolaccia, mai una sigarett. Chierichetta, Madonna nel presepe vivente di Laterina, insegnante di catechismo e volontaria al bar della parrocchia: praticamente la biografia di una santa. In questo quadretto celestiale arriva presto anche la politica, dove la Boschi brucia presto le tappe, anche con una bella dose di fortuna. All’inizio, giovanissima praticante nel più prestigioso studio legale di Firenze, dove conosce anche l’attuale tesoriere Pd Bonifazi («suo ex fidanzato»), lo studio del civilista Umberto Tombari, vicepresidente dell’Acri, l’associazione delle Fondazioni bancarie, nominato in passato da Renzi presidente della partecipata «Firenze mobilità». È la porta che introduce la giovane Boschi nella galassia di Renzi, lei che alle primarie del Pd nel 2009 aveva lavorato al comitato elettorale non di Renzi, ma del dalemiano Michele Ventura. Renzi però non la rottama, ma anzi la nomina prima nel cda di Publiacqua e poi la sceglie come sua frontwoman, dalla Leopolda alla sfida con Bersani, fino a portarsela con sè al governo. Lì, da ministro per i rapporti col Parlamento, si è ritagliata un ruolo centrale, «ha accentrato tutto, tutto passa dal suo ufficio prima di approdare in aula». Quando c’è una trattativa complessa, come quella sul Senato, vince per sfinimento, «con riunioni fiume una dietro l’altra». «Pugno di ferro in guanto di velluto», riassumono gli autori. E direttamente lei, la Boschi superstar, racconta «Io non sono potente. Sono soltanto una persona che cerca di lavorare molto. Seguo tanti tavoli, dentro questo ministero e fuori, Ma io non gestisco niente, a parte il mio lavoro. Il potere è un’altra cosa». La ministra controlla tutto tramite un team di consiglieri, dai singoli emendamenti ai decreti più complessi. Ecco chi sono i suoi fedelissimi Tutto ma proprio tutto, dal singolo emendamento alle riforme della Costituzione, passa da quell’ufficio in Largo Chigi. Niente sfugge al suo controllo. È il regolamento, ma la Boschi lo ha interpretato con il massimo scrupolo, un metodo che chi le sta vicino definisce «militare», accentrando il controllo e sottoponendo al vaglio del suo ufficio ogni provvedimento diretto al Parlamento.
Ha messo in piedi un’organizzazione efficiente, ha portato nel suo staff un paio di persone, usa i dipendenti della struttura. Non esce mai da sola, gira a piedi con i suoi collaboratori (e con la scorta) nei brevi tratti da Largo Chigi a Palazzo Chigi e a Montecitorio».Il vero motore dell’attività governativa è lì, più ancora che nel ticket Lotti-Manzione, il sottosegretario e l’ex vigilessa fiorentina promossa da Renzi a capo del fondamentale Dagl (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi), dove si mormora la Boschi voglia infilare, al suo posto, appunto uno dei «Boschi Boys», i consiglieri di diretta collaborazione del ministro che «verifica e autorizza tutti gli emendamenti», gli ingranaggi del motore Meb. Si tratta di Cristiano Ceresani, capo del settore legislativo del ministero della Boschi, già braccio destro di Gaetano Quagliariello nella stessa funzione, consigliere parlamentare catalogato in quota Ciriaco De Mita, avendone sposato la figlia (Ceresani è identificato dal M5S alla Camera come «l’emissario della Boschi in Commissione Ambiente la sera in cui si votava l’emendamento pro Tempa Rossa»). Poi, altro BB (Boschi Boy) è Roberto Cerreto, anche lui funzionario della Camera. Nel ministero occupa il ruolo chiave di Capo di gabinetto, con la funzione di «verificare gli atti da sottoporre all’esame e alla firma del Ministro, e coordinare le attività degli uffici di diretta collaborazione».Il consigliere Cerreto viene da Pisa (ma è romano di nascita), dove si è laureato in Filosofia alla «Normale», ma è stato anche segretario cittadino dei Ds, è anche amico di D’Alema che è stato suo testimone di nozze – scrive Il Tirreno – e pure di Enrico Letta (pisano) che lo chiama a Palazzo Chigi come responsabile per le questioni istituzionali. Per la fondazione dalemiana Italianieuropei ha coordinato gruppi di lavoro e fatto parte del comitato scientifico. Ma allora dalemiano, lettiano, o renziano? Meglio, boschiano. Poi c’è un altro fedelissimo chiamato dalla Boschi al ministero, il giurista (classe 1979) Massimo Rubechi, suo consigliere giuridico già collaboratore del gruppo parlamentare Pd, principale referente della ministra per la riforma costituzionale che dovrà passare al vaglio del referendum in ottobre (non a caso il professore è già in campo come promotore del sì, chiamato ad illustrare le virtù della riforma negli incontri pubblici promossi dal Pd). Con loro e pochissimi altri, tra cui il portavoce Luca Di Bonaventura (alle sue nozze a Firenze l’anno scorso c’era Maria Elena in tubino nero con mezzo Giglio magico a intonare «Giachetti sindaco», anche lui presente), la Boschi condivide le riunioni di staff al mattino, dove si fa il punto sulla road map del ministro che tutto controlla, dalla Costituzione alle trivelle. Quell’emendamento che, dice, «rifirmerei domattina», come prima il decreto Salva Banche, anche quello passato al vaglio preventivo del team Boschi.