Perché le banche non fanno la concorrenza a fondazioni e alle case d’asta sul mercato dei dipinti del 900?

Le banche sembra abbiano poca visione del futuro. In Italia, per esempio non ve ne è una che sia in grado di concorrere sul mercato dei dipinti del 900. Eppure vorrebbero guadagnare di più. E allora?

di Roberto Casalena

Facciamo delle considerazioni chiarificatrici,tanto per sgombrare il campo da ogni dubbio.
In Italia ed in Europa,ma non negli Usa, fondazioni e comité di artisti del 900 hanno il potere di sentenziare, in esclusiva, su quadri e sculture di artisti del periodo, perché, altrimenti, senza una loro approvazione le case d’asta non accettano la vendita delle opere.
Le fondazioni sono gestite dai parenti degli autori, che le hanno fondate, e fanno il buono e cattivo tempo sul mercato, con esperti scelti da loro. Perché?

Le case d’asta, invece, che hanno i loro esperti, non contano nulla, se non solo per indicare il valore di vendita dell’opera. Ma come è possibile che ciò accada?
Cosa accade, se per caso si eredita un’opera del 900 non autenticata, e le case d’asta si rifiutano di venderla, anche se si presentano attestati di esperti d’arte nazionali o internazionali?
Che gli esperti esterni alle fondazioni sembrano non contare nulla.

La legge italiana sulle fondazioni è ancora ferma al periodo del fascismo, per cui avrebbe bisogno di una bella revisione, ma tra i vari parlamentari, a nessuno sembra interessare. Perché?

Giochini di potere. Qualche piccola casa d’asta, in presenza di attestati di primari esperti, al massimo mettono l’opera in vendita a quattro soldi rispetto al reale valore di mercato, se ,invece,ci fosse l’avallo della fondazione. Poi, su segnalazione alla fondazione di competenza, questa l’acquista sottobanco, approva l’opera e la rivende a prezzi gonfiati del 90%.
E su queste storture del mercato, forse, sarebbe necessario l’intervento della magistratura.

Negli Usa, invece, le fondazioni, per legge, non possono rilasciare alcuna autenticazione , ma solo promuovere le opere degli autori di loro pertinenza, con convegni, esposizioni,ecc.
Dunque, il mercato ,italiano ed europeo, risulta drogato dal potere che hanno le fondazioni, senza alcun merito, e da case d’asta accondiscendenti che seguono come cagnolini il loro padrone.

E le banche? Se si dessero una smossa nel settore, forse il mercato dell’arte potrebbe essere più fiorente, e scalzare il potere delle fondazioni.
Come? Facendo valutare le opere da propri esperti, scavalcando le fondazioni stesse, ed inoltre, su stime fatte dai loro esperti, concedere un anticipo sul valore presunto a chi lo richiede.

Ma come sopravvivono le fondazioni? Per ogni quadro, già catalogato da loro, e che viene venduto all’asta ricevono il 4% sul valore di acquisto, praticamente a vita.
Chi è in grado di spezzare questa catena dell’arte?
Dulcis in fundo. Le opere ante 900, dove non esistono fondazioni, si vendono all’asta solo con l’avallo degli esperti qualificati esistenti sul mercato.
E’ bene ricordare che recentemente un’opera attribuita a Leonardo da Vinci è stata venduta negli Usa a 450 milioni di dollari, proprio da una casa d’asta internazionale. E se per caso, ci fosse stata una fondazione, l’opera poteva anche valere quattro soldi.
Ed allora, perché le fondazioni debbono avere l’esclusiva del mercato?
Dove non ci sono fondazioni gli esperti valgono, mentre se non ci sono questi sono credibili. Qualcuno è in grado di interrompere questo gioco delle parti?

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